I chakra, tradizione o new age?

dicembre 01, 2020


 di Marco Sebastiani

Il termine chakra, devanagari चक्र, compare in testi sanscriti significativamente antichi, anche in relazione con lo yoga, ma è nel medioevo indiano, con le opere tantriche, che si attesta con un significato più vicino, o almeno comparabile, a ciò che oggi spesso intendiamo. Ma cosa intendiamo oggigiorno per chakra? Appare chiaro che il signficato antico, che possiamo cercare di ricostruire fin dal RigVeda, non è di facile attestazione e, di contro, all'estremo opposto, nei tempi moderni abbiamo assistito ad un vero e proprio delirio sorto in ambiente Occidentale ed allontanatosi da qualsiasi originale forma indiana, induista o buddista. Questo processo ha come base l'opera di Jung, La psicologia del kundalini yoga, in cui l'autore fornisce una interpretazione del processo di risveglio della Kundalini basandosi esclusivamente sull'attenzione che egli pose agli indizi del movimento di questa energia nella vita psichica dei propri pazienti e che gli fornirono dei segni più o meno coerenti dell’emergere di una dimensione impersonale, definita come Inconscio Collettivo. Ma se questa sua teoria è assolutamente coerente nel proprio sistema di riferimento, è con gli autori junghiani e con la newage che perde qualsiasi congruenza diventando folklore spiritualistico. Ed ecco quindi che i chakra sono raffigurati con i colori dell'arcobaleno, collegati a pianeti, disturbi, ghiandole endocrine, semi dei tarocchi, note musicali, giorni della settimana, punti e meridiani della medicina tradizionale cinese, arcangeli cristiani, pietre preziose, ma qui forse si tratta di marketing più che di spiritualismo, solo per citare alcuni dei riferimenti più comuni e noti che tutti noi abbiamo sentito almeno una volta.

L'inno 10.136 del Rigveda menziona un'asceta, uno yogi rinunciante, con una donna di nome Kunamnama:

4. Vola a mezz'aria, l'asceta silenzioso, contemplando le forme di tutte le cose.
Ogni Dio diviene un amico e collaboratore.  (...) 7. Il vento gli ha preparato e mescolato da bere; è pressato da Kunamnama. Insieme a Rudra ha bevuto dalla tazza di veleno - l'asceta dai capelli lunghi.

Kunamnama letteralmente significa "colei che è piegata, arrotolata", e rappresenta sia una dea minore che uno dei tanti enigmi e indovinelli esoterici incorporati nel Rigveda. Alcuni studiosi, come White e Georg Feuerstein, sottolineano che questo elemento potrebbe essere correlato alla kundalini shakti, e un'apertura verso temi dell'esoterismo che sarebbe poi emerso nel bramhanismo post-ariano, con le Upanishad. [confronta: David Gordon White (2006). Kiss of the Yogini: "Tantric Sex" in its South Asian Contexts. University of Chicago Press e
Feuerstein, Georg (1998). Tantra: Path of Ecstasy. Shambhala Publications.]

I canali energetici o del respiro, le nadi, sono menzionati nelle Upanishad classiche dell'induismo del I millennio AC, ma non con la teoria dei chakra dell'energia psichica. Questi ultimi, afferma David Gordon White, furono introdotti intorno all'VIII secolo d.C. nei testi buddisti come gerarchie dei centri energetici interni, come nell'Hevajra Tantra e nel Caryagiti. Questi sono chiamati con vari termini come cakka, padma, loto, o pitha, tumulo. Questi testi buddisti medievali menzionano solo quattro chakra, mentre testi indù successivi come il Kubjikamata e il Kaulajnananirnaya hanno ampliato l'elenco a molti altri.Per una disamina dell'argomento si legga il fondamentale: Yoga, Brief History of an idea di David Gordon White, in particolare i paragrafi Yoga in the Tantras e Hata Yoga, della Princeton University Press 2012.

Possiamo dire ci siano due scuole di pensiero quindi. A differenza di White,  Feuerstein, in Tantra: Path of Ecstasy, afferma ad esempio che le prime Upanishad dell'induismo menzionano i chakra nel senso di "vortici psicospirituali", insieme ad altri termini che si trovano nel tantra: prana o vayu, energia o soffio vitale, insieme alle ben note nadi, intese come arterie che trasportano energia. Infine, anche secondo Gavin Flood, in An Introduction to Hinduism, i testi antichi non presentano invece i concetti di chakra e kundalini in teorie collegabili con lo yoga, sebbene queste parole compaiano nella prima letteratura vedica in molti contesti. I chakra nel senso di quattro o più centri energetici vitali apparirebbero quindi nei testi indù e buddisti solo dall'era medievale.

A giudizio di chi scrive può essere trovata una linea di buon senso tra queste due scuole, senza che una prevalga sull'altra. Diremo quindi che il concetto di chakra come ruota di energia trasportata all'interno del corpo, si afferma sicuramente in epoca tantrica, I millennio DC, sia in ambito yoga che in ambito buddista o dello yoga buddista, ma su concetti già ben presenti e strutturati nel pensiero indiano fin dall'epoca Vedica.
La relazione invece tra il concetto di chakra e lo yoga tradizionale, non tantrico, è invece più controversa. Edward Bryant, nel suo The Yoga sutras of Patanjali: a new edition, è categorico nell'affermare che gli obiettivi dello yoga classico come la liberazione spirituale, la libertà, la conoscenza di sé o la moksha, sono "raggiunti in modo completamente diverso nello yoga classico, e la fisiologia che presuppone invece il modello cakra / nadi / kundalini, rispetto alla quale è completamente periferica. Sulla stessa linea sembra anche essere Stefanie Syman in The Subtle Body: The Story of Yoga in America.
Onestamente, tenderemmo ad essere più cauti su questo terreno, valutando anche tutte le opere più antiche dell'ayurveda, dalla Sushruta Samhita in poi, datate con grande discrepanza dagli esperti, tra il Imillennio e il VI secolo AC, nei passi delle quali si allude a correnti ed energie che si muovono, ristangnano e si incanalano nel corpo.
Ricorderemo anche che il Sudarshana Chakra, सुदर्शन चक्र, un disco rotante di energia, è l'arma principale del dio indù Vishnu. Il Sudarshana Chakra è generalmente raffigurato sulla mano posteriore destra delle quattro mani di Vishnu. In tempi più recenti è descritta proprio come una fonte di energia distruttiva rotante, ma nel Rigveda era il simbolo di Vishnu come ruota del tempo, e non per questo meno distruttivo o potente. Gli yogin, i saggi o i guerrieri in diversi racconti o miti invocano Vishnu e questo chakra di energia, con scopi piuttosto disparati. Questa immagine è, in definitiva, sicuramente molto antica in india.

Ci piacerebbe però portare l'attenzione non sull'interrogativo se i chakra siano già presenti nello yoga classico, l'Ashtanga Yoga o il Raja Yoga per intenderci, magari con la mediazione dell'ayurveda, o se siano introdotti dallo yoga tantrico e dall'Hatha Yoga, poichè è una disamina di difficile soluzione. Ci piacerebbe portare l'attenzione su cosa sappiamo di esatto e preciso relativamente ai chakra.
A questo riguardo ci viene incontro Daniel Simpson che, in un'anticipazione del suo libro The Truth of Yoga, in uscita nel 2021, offre in merito una ben fatta rassegna.

Simpson afferma che uno dei maggiori contributi del Tantra allo yoga fisico è proprio lo strumento per risvegliare la dimensione interiore e sfruttare il suo potenziale di trasformazione. Egli, senza andare troppo per il sottile, sostiene che indipendentemente dal fatto se i chakra siano ritenuti esistere in un cadavere sezionato, essi vengono portati in essere esclusivamente attraverso la visualizzazione. Di conseguenza, hanno effetti potenti, ma questa non è esattamente la stessa logica dei seminari new age che insegnano come "pulirli" o "sbloccarli".

Le parti più note del cosiddetto corpo yogico, prosegue Simpson, sono spesso le più incomprese. I chakra sono sottili "ruote" lungo la spina dorsale, originariamente utilizzate come punti di concentrazione. Esistono davvero solo se immaginati in essere. Alcuni insegnamenti sullo yoga li trascurano completamente.

Esistono molti diversi sistemi di chakra, con numeri e posizioni variabili. Il modello predominante oggi, con sei elementi posizionati lungo la schiena e un settimo alla corona in cima la testa, è un mix di tradizione e recente invenzione. Il primo riferimento proviene dal Kubjikamata Tantra del X secolo (11.34–35), che descrive l'ano come l' adhara , una "base" o "supporto", a cui mula , ovvero radice, viene successivamente aggiunto come prefisso. Lo svadhishthana si trova sopra di esso, localizzato al pene, manipuraka (o manipura ) all'ombelico e anahata nel cuore. Vishuddhi è nella gola e ajna tra gli occhi.

In generale, ripete Simpson, i chakra sono pensati per essere modelli per la visualizzazione. Sono presentati nei Tantra come modi per trasformare il corpo di un praticante, installando simboli collegati agli dei. Alcuni testi ne elencano più di una dozzina, altri meno di cinque. A volte sono chiamati adhara , o "supporti" per la meditazione, o in alternativa padma , o "fiori di loto", a causa dei petali che incorniciano i loro disegni. Ad ogni modo, si dice che siano punti di collegamento in una rete di canali in cui scorre l'energia vitale e concentrarsi sulle loro posizioni ne raffina la percezione.

Un altro elenco antico fornisce nomi diversi: nadi, maya, yogi, bhedana, dipti e shanta. "Ora ti parlerò dell'eccellente, suprema e sottile meditazione di visualizzazione", dice il Netra Tantra (7.1–2), descrivendo il corpo come comprendente "i sei chakra, le quattrodici vocali di sostegno [nell'alfabeto sanscrito A, E, I, O, U, RI, LI,, lunghe e corte], i tre oggetti e i cinque vuoti , i dodici nodi, i tre poteri, il percorso delle tre dimore e i tre canali." Questa sconcertante serie di luoghi è comune a molte opere del Tantra, le cui mappe dei regni interni spesso suonano complesse e contraddittorie.

Alcuni secoli dopo, la versione dei sette chakra divenne più consolidata. Questa visione aggiunge il sahasrara - una ruota a "mille raggi", o loto "dai mille petali" - nella parte superiore della testa (o talvolta sopra di essa, come nello Shiva Samhita ). Un altro testo yogico elenca gli stessi sette punti senza menzionare i chakra : "Il pene, l'ano, l'ombelico, il cuore e sopra di esso il punto dell'ugola, lo spazio tra le sopracciglia e l'apertura nello spazio: si dice che siano i luoghi della meditazione dello yogi”( Viveka Martanda 154–55). Comunque i punti siano definiti, funzionano come indicatori per aumentare la consapevolezza.

Il trionfo di questo modello è ad opera di Sir John Woodroffe, un giudice britannico dell'India coloniale, che ha usato lo pseudonimo di Arthur Avalon. Nel 1919 scrisse un libro famosissimo, intitolato The Serpent Power, che includeva una traduzione dello Shat Chakra Nirupana del XVI secolo , o "Descrizione dei sei chakra ". Altri scrittori occidentali condividevano l'interesse di Avalon per le idee tantriche. Anche l'occultista Charles Leadbeater scrisse sui chakra negli anni '20. I libri dei due uomini rimangono influenti, insieme alle teorie di Carl Gustav Jung, che a sua volta li conosceva bene e che incorporò i chakra nel suo sistema di simboli.

Gli autori New Age, conclude Simpson, hanno però offuscato la distinzione tra creazioni mentali e fatti fisici, presentando i chakra come se esistessero, invece di essere visualizzati. Sono spesso raffigurati con i colori dell'arcobaleno che non si trovano nelle fonti sanscrite originali. Sono anche dati attributi che li collegano a qualsivoglia stranezza purché in numero di sette.

Anche alcune menzioni dei mantra sono fuorvianti. I rituali tantrici li collegano agli elementi raffigurati nei chakra, non ai chakra stessi. Quindi è improbabile che recitare un "seme" - o bija - mantra legato all'aria, faccia molto per aprire il cuore. Tuttavia, concentrare l'attenzione su queste cose può renderle reali, almeno nel regno dell'esperienza soggettiva. E poiché è così che i Tantra dicono che le divinità vengono evocate, forse l'uso dei chakra da parte dei professionisti moderni non è poi così diverso. Diciamo però che forse un approfondimento delle relazioni tra chakra e yantra, i diagrammi mistici, meriterebbe forse di essere fatto.

L'articolo di Simpson in realtà ricalca piuttosto da vicino quanto già scritto da Christopher Wallis nel 2016 in The Real Truth about the Chakras riassumibile nell'affermazione che: "Negli ultimi cento e più anni, il concetto dei chakra, o centri energetici sottili all'interno del corpo, ha conquistato l'immaginazione occidentale più di qualsiasi altro insegnamento della tradizione yoga. Tuttavia, come con la maggior parte degli altri concetti derivanti da fonti sanscrite,
l'Occidente (ad eccezione di una manciata di studiosi) ha quasi del tutto mancato di fare i conti con ciò che i chakra significano nel loro contesto originale e come si suppone che ci si riferisca ad essi nella pratica dello yoga."

Aggiungiamo infine che i chakra sono tradizionalmente considerati ausili per la meditazione. Lo yogi progredisce dai chakra inferiori al chakra più alto che sboccia nella sommità della testa, interiorizzando il viaggio dell'ascesa spirituale. In entrambe le tradizioni kundalini o candali indù e buddista, i chakra sono trafitti da un'energia dormiente che risiede vicino o nel chakra più basso. Nei testi indù è conosciuta come Kundalini, mentre nei testi buddisti è chiamata Candali o Tummo, tibetano: gtum mo, feroce. [confronta: Geoffrey Samuel (2013), Religion and the Subtle Body in Asia and the West: Between Mind and Body]

Ci piacerebbe concludere infine riassumendo come i chakra ed il sistema energetico che presuppongono, siano effettivamente un tema molto antico in India, già presente nei Veda e nell'ayurveda, ma che si è poi stratificato nello yoga soprattutto grazie alle opere Tantriche, buddiste e di hatha yoga, ma, con la commercializzazione dello yoga sono spesso stati fraintesi e mistificati, essendo,  punti immaginari del corpo sottile e non organi del corpo fisico, in un modo completamente diverso rispetto alla medicina cinese tradizionale a cui vengono a volte affiancati.


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