Mito e Yoga: kapotasana, la posizione del piccione

novembre 25, 2020


di Marco Sebastiani

Kapotasana ha questo nome perchè mima la postura del piccione, come in diverse posizioni che portano il nome di animali, tra le quali ad esempio krounchasana, la posizione dell'airone oppure salabhasana, la posizione della locusta? Come spesso accade la risposta è più complessa della domanda. Kapotasana rientra in realtà tra le posizioni dedicate alle divinità. Kapota è uno dei cento nomi di Shiva, o dei mille, a secondo dell'elenco che si consulta, ma è proprio il nome che ricevette quando assunse la forma di un piccione. Anche altri personaggi della mitologia Induista portano il medesimo nome, ma andiamo con ordine.

Nello Skanda Purana è narrato come il Signore Shiva abbia ricevuto il nome di Kapota. Shiva è il signore della meditazione, dello yoga e delle pratiche ascetiche, e una volta intraprese delle tapah, pratiche intense, particolarmente impegnative, vivendo senza bere e mangiare, ma solo di aria ed evitando tutte le coppie di opposti ovvero cercando di raggiungere il completo distacco dal dolore e dal piacere, dal bene e dal male. Questa pratica lo mutò nella forma di un piccione e, da quel momento in poi, a commemorazione di questa profonda pratica, sarebbe stato conosciuto dai suoi devoti anche con il nome di Kapota. 

Diremo da subito che कपोत, kapota, significa in sanscrito sia piccione che colomba e ci sono una serie di elementi che farebbero propendere per kapotasana come posizione della colomba, vedremo perchè. E' tuttavia talmente radicata e consolidata in Occidente la traduzione di kapotasana come "pigeon pose" che ci limiteremo a prenderne atto.  Sappiate però che dove nei testi antichi traduciamo piccione, spesso, anche negli originali inglesi si legge kapota come "dove", colomba in questa lingua.

Ma vediamo come si esprime in merito lo Skanda Purana, nella versione inglese a cura di G. V. Tagare. Lo Skanda Purana è il capitolo 13, il più grande dei diciotto che costituiscono il Mahapurana, opera che presenta l'antica società indiana e le tradizioni indù in un formato enciclopedico, approfondendo argomenti come il dharma (stile di vita virtous), la cosmogonia (creazione dell'universo ), mitologia (itihasa), genealogia (vamsha) ecc. Questo è il tredicesimo capitolo del Purushottama-kshetra-mahatmya, la seconda sezione, del Vaishnava-khanda, il secondo libro, dello Skanda Purana, che narra della grandezza del santuario di Kapotesha, che si colloca nel villaggio di Chandanpur, nell'entroterra della città di Puri (stato di Odisha). [Tra parentesi quadre le note di redazione]

I saggi chiesero:
È opportuno che tu ci racconti perché questo sito chiamato Kapoteśa è diventato famoso, o grande saggio. Chi era Kapota e chi era il Signore, o grande saggio?

Jaimini [antico studioso indiano che fondò la scuola di filosofia indù Mīmamsa, discepolo del saggio dei Veda Vyasa] rispose:
In precedenza Kushasthali [l'antica regione di Puri] divenne inospitale perchè era abitata da strane creature e perché il terreno era completamente ricoperto di erba Kusha con bordi affilati e spine. Era priva di alberi. Non aveva riserve d'acqua. Era come una dimora dei Pishacas, i fantasmi. In precedenza non era adorato nessun Deva all'infuori del Signore Vishnu. Sorse così in Dhurjati [Shiva] il desiderio di competere con Vishnu e questa rivalità lo portò a pensare: 'Lascia che sia adorato anche io'. Rivolse così questo pensiero alla devozione dello stesso Vishnu.
'Propizierò Hari
[altro nome di Vishnu] ricorrendo a una penitenza molto grande. Rimarrò in un luogo privo di qualsiasi oggetto di conforto. Non avrò beni personali. Cosa dovrei dire al Signore Rama [sempre Vishnu]? Quale può essere l'elogio di Sharadapati [è oscuro a chi si riferisca, forse Vishnu] ? Cos'altro può dare soddisfazione alla divinità che è il signore dell'intero universo? Nessun bene materiale può essergli utile. Pertanto, adotterò Antaryaga [letteralmente "il sacrificio interno"] con una mente pura.
Propizierò Hari, il padre degli esseri mobili e immobili, il Signore che offre la propria anima ai devoti. Per sua grazia sarò degno di essere adorato da tutti.'
Pensando così nella sua mente, andò al luogo sacro di Kuśasthalī e compì questa penitenza molto severa, vicino al monte Nila
[oggi Nilachal, Monte Blu, vicino Puri]. Maheshvara [Shiva, il grande Signore] evitò tutti i Dvandva [द्वन्द्व, le coppie di opposti ovvero praticò il distacco dai sensi]. Si nutrì solo di aria e, benché presente nelle sue otto forme [le otto forme di Śiva sono: 1. Terra (Śarva); 2. Acqua (Bhava); 3. Fuoco (Rudra); 4. Vento (Ugra); 5. Etere (Bhīma); 6. Il sacrificatore, cioè Yajamana (Paśupati, il signore degli esseri); 7. La Luna (Mahādeva); 8. Il Sole (Ishana).], il Signore apparve nella forma di un piccione.
Il felice Signore [Vishnu] gli concesse la supremazia, così divenne uguale a Lui per quanto riguarda l'adorazione e il rispetto. Con il potere della sua penitenza quel luogo santo divenne paragonabile a Vrindavana, la foresta vicino a Gokula [famosa foresta lungo la riva occidentale del fiume Yamuna, dove Krishna recitò le sue lila]. L'intera zona divenne splendida, adornata da laghi, stagni, bacini e fiumi. Era pieno di diversi tipi di alberi e piante carichi di frutti e fiori di tutte le stagioni. Risuonava il ronzio delle api inebriate dal miele. Era pieno di diversi tipi di stormi di uccelli. Era un meraviglioso luogo, dimora per tutte le creature. Poiché per mezzo della sua penitenza Shiva assunse la forma di un piccione, venne chiamato Kapoteśvara, [कपोत kapota=piccione, ईश्वर ishvara=Signore] per volere di Murāri [sempre Viṣhṇu]. È per suo volere che il Signore dai Tre Occhi [Shiva] rimane sempre qui, insieme a Mridani [Parvati, la moglie di Shiva]. Coloro che compiranno il pellegrinaggio e si inchineranno nel luogo sacro di Kapotesha, si libereranno di tutti i loro peccati e otterranno la salvezza."

Si narra che ancora oggi nel santuario di Kapotesha siano presenti sempre due colombe di colore bianco, e di piccioni di questo colore onestamente non he ho conoscenza, a memoria di questo evento che rese la valle incantata.

Qui il collegamento è profondo e diretto, non ci sono allusioni, ma un riferimento univoco tra la pratica di Shiva e l'asana che noi conosciamo. La posizione dello yoga chiamata kapotasana richiama la pratica yoga compiuta da Shiva presso il luogo sacro Kapotesha, pratica che gli fece assumere la forma di un piccione e raggiungere la benedizione di Vishnu. La pratica di Shiva viene chiamata antaryaga, ovvero il sacrificio interiore, e sembrerebbe quindi analogo al famoso matrika nyasa tantrico [confronta G. V. Tagare, 1950]. Questo rituale assume molte forme diverse nella tradizione, includendo posture, mantra e altro, ma gli effetti essenziali sono la purificazione dei canali energetici del corpo e la risalita energetica del prana attraverso sushumna, il canale centrale, passando per i centri energetici, chakra, e quindi descrivibile come il risveglio di kundalini, il serpente dormiente.
Ma, tornando allo yoga moderno, kapotasana è un piegamento all'indietro per molti versi estremo, ed è ritenuto avere un effetto estremamente purificante sul sistema sottile di canali che portano il prana attraverso il corpo. Costituisce il backbend più intenso della sequenza di piegamenti all'indietro presenti nella seconda serie dell'ashtanga yoga del maestro Jois, chiamata appunto Nadi Shodana, la purificazioni delle nadi.

Kapotasana da "Teoria e pratica dello yoga" di B.K.S. Iyengar

Secondo alcuni, tra i quali il maestro Iyengar, in questa posizione il torace si espande e si gonfia come quello di un piccione, da ciò il nome. Sembra un po' semplicistico, soprattutto in relazione con il racconto appena analizzato. Va però detto che il motivo ultimo del fatto per il quale Shiva assume la forma di un piccione, dopo aver praticato con grande intensità, solleva alcuni dubbi, potrebbero esserci dei collegamenti tra la rinuncia all'acqua e al cibo, il distacco dai sensi e l'espansione del torace, ma questa è solo una supposizione.  Più concretamente Yama, il dio dei morti, è spesso messo in relazione con la colomba, che rappresenta un suo messaggero [es. RigVeda 10.165.4] sembrerebbe quindi significare una morte e una rinascita a nuova vita, tipica dei rituali iniziatici. Per questo motivo la colomba è a volte ritenuto un uccello infausto, presagio di morte, in India. [confronta: Parmeshwaranand, S. Encyclopaedic Dictionary of Upanisads, Volume 1. New Delhi: Sarup & Sons, 2000. p. 160. e PIGEON IN THE VEDIC MYTHOLOGY AND RITUAL, Hukam Chand Patyal and Hukam Chad Patyal, Annals of the Bhandarkar Oriental Research Institute, Vol. 71, No. 1/4 (1990), pp. 310-317]

Come dicevamo esistono altre figure mitologiche che hanno il nome di Kapota, ma tutte riprendono il proprio nome da quello del dio Shiva e le loro gesta non ci sembrano essere all'altezza del mito appena narrato. Il Kalika Purana narra ad esempio delle gesta clandestine di un saggio di nome Kapota, il quale insidia Parvati rinata nell'occasione in un nuovo corpo, quello di Taravati, maledicendola infine perchè non gli si concede. Nel Mahabharata, viene citato un saggio con lo stesso nome, forse alludendo allo stesso personaggio, noto per potenza, vigore, forza, vitalità e agilità. Kapota è detto non avere eguali. Quando camminava, sembrava che la sua anima fosse parecchi piedi più avanti del suo corpo: si muoveva come se non toccasse terra. Così la gente lo chiamava il figlio di Garuda, il potente uccello che fungeva da veicolo per il Signore Vishnu. La bellezza e la virilità trasudavano così tanto dal suo corpo che ordinò a Chitrangada, la figlia della ninfa celeste, Urvashi, di sposarlo. La sua saggezza intuitiva era così chiara e perfetta che persino i figli di Shiva, Bhairava e Vetal, cercarono la sua guida. Questa configurazione erotica del personaggio, ci lascia tuttavia propendere per non ritenerlo direttamente collegato con l'ascesi, lo yoga e le sue posizioni.

Concludendo, a seguito di una pratica particolarmente intensa ed austera, basata sul digiuno e il non attaccamento, il dio Shiva assunse la forma di un piccione ed a memoria di ciò adottò il nome di Kapota o Kapoteshvara. Il moderno praticante di yoga affronta una pratica particolarmente intesa eseguendo la posizione dedicata a Shiva nella forma del piccione, kapotasana. Una posizione così impegnativa da insegnare il non attaccamento e l'abbandono. La costanza con cui deve essere praticata per eseguire la trasformazione non può mirare ad uno scopo, altrimenti ci si ferma, è necessario praticare senza attenzione ai risultati, ai frutti, fondamento del non attaccamento. E infine l'abbandono, solo lasciandosi andare completamente e avendo fiducia in noi stessi, nel metodo e nel maestro si può pensare di riuscire. Questa è proprio la visione di Patanjali:

YSII:1. tapaḥ svādhyāy-eśvarapraṇidhānāni kriyā-yogaḥ
Lo yoga è azione e si realizza in tre componenti:  pratica intensa, studio di sé e abbandono.

....

YSII:46. sthira-sukham-āsanam
Le asana, o posizioni, sono eseguite con forza e gioia.

YSII:47. prayatna-śaithilya-ananta-samāpatti-bhyām
Questo avviene rilasciando progressivamente lo sforzo ed entrando in uno stato di profonda contemplazione.

Ma perchè sono necessarie posizioni così intense in un cammino spirituale? Corpo e spirito sono un tutt'uno ed è impossibile arrivare allo spirito universale senza passare per il corpo e lo spirito individuale, questa è la lezione del Tantra. Oggi come nel Tantra questa pratica ha lo scopo di purificare i canali energetici e risvegliare le energie interne. Molti maestri e praticanti riferiscono che kapotasana modifichi profondamente chi la pratica, e possa generare delle momentanee instabilità emotive, psichiche o fisiologiche, anche profonde. Come sempre, quando le pratiche sono efficaci è necessario affidarsi ad un maestro esperto, di cui si ha fiducia.

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