Astavakrasana è una posizione considerata in generale piuttosto difficile: una torsione profonda con un'ampia apertura delle anche, il tutto sospesi in equilibrio sulle mani. Ma, come insegnerà la storia legata al saggio Astavakra che le da il nome, se non ci fermiamo alle apparenze, scopriremo che la principale qualità che sviluppa è l'apertura del cuore. La storia della mitologia indù che le sta dietro è certamente tra le più belle e ricche di significato. Astavakrasana è dedicata ad un grande saggio dell'antichità, disabile, l'autore dell'Astavakra Gita. La vicenda più famosa a lui legata è un grande insegnamento contro i pregiudizi, il razzismo e contro chi giudica le persone in base alle apparenze. Astavakra ci ricorderà, come vedremo, che lo yoga può essere praticato veramente da tutti e che soffermarsi più del dovuto su ciò che appare ci fa sfuggire la ricerca più importante della nostra pratica.
La storia di Astavakra comincia quando il suo protagonista è ancora nel grambo della madre. Suo padre era un bramino ed era solito recitare i veda in sanscrito. Già in quell'epoca, il sanscrito offriva però non poche difficoltà di interpretazione e di pronuncia, tanto che sbagliava spesso la dizione. Un giorno Astavakra, non potendone più, da dentro la pancia della madre corresse ad alta voce la pronuncia di un verso delle sacre scritture. Il padre, invece di essere grato al figlio, accecato dall'ego e dall'ignoranza della verità, difetti criticati a quei tempi al massimo grado, maledisse il figlio nascituro in questo modo: "Che tu possa nascere con il corpo piegato in otto punti". La maledizione si avverò, da cui il nome del Saggio: ashta significa infatti "otto" e vakra "pieghe".
Già il fatto che prima di nascere conoscesse alla perfezione la pronuncia sanscrita dei Veda, faceva presupporre grandi cose per il ragazzo, ma alla sua nascita la saggezza del ragazzo si rivelò in tutta la sua magnificenza. Spesso ho sentito affermare che per la legge del karma gli induisti ed i buddisti riterrebbero che chi nasce con difetti fisici sia stato punito per le proprie azioni del passato, ma questa è una sciocchezza. Come tutta la nostra vita, la liberazione o la sofferenza sono ritenute legate alle conseguenze delle nostre azioni presenti e future, ma ragionare in termini di punizioni o benefici sul piano materiale è molto lontano dal pensiero orientale. E' vero esattamente il contrario, spesso per la filosofia del pensiero di queste due religioni, chi si trova privato nel fisico di alcune qualità, ne acquisice altre su altri piani. Sono comuni infatti i santi uomini non vedenti o con altre disabilità fisiche. Questa storia ne è la conferma. Gli stessi indiani colti ritengono da studipi e da ignoranti pensare che i difetti fisici siano evidenza di cattivo karma.
Detto questo, Astavakra dimostrò grandissima saggezza tanto che venne invitato ad una importante riunione di sapienti indetta dal re Janaka, il re filosofo menzionato nel poema del Ramayana, padre di Sita, la moglie amatissima di Rama liberata dal fedele Hanuman, ma questa è un'altra storia. I miti sono un po' come le soap opera, in cui tutti sono parenti di tutti.
Astavakra si incamminò verso il luogo della riunione, ma la sua disabilità fisica non gli permetteva di camminare speditamente e quindi impiegò molto più tempo degli altri, arrivando quando il raduno era iniziato già da tempo. Quando fece il suo ingresso nel palazzo reale, tutti i saggi riuniti iniziarono fragorosamente a ridere ed a criticare il suo aspetto fisico. Allora il nostro disse:
"Sono venuto da lontano nonostante le mie cattive condizioni fisiche perchè mi era stato detto che in questo palazzo si trovassero persone di grande saggezza. Speravo di assistere a conversazioni illuminanti, sono davvero contrariato, non ho trovato altro che una riunione tra miseri calzolai." A questo punto il re Janaka chiese come mai chiamasse calzolai i suoi consiglieri, che in realtà erano tutti discendenti di Bramha e fini conoscitori dei Veda. Astavakra quindi continuò: "No, non sono sacerdoti ma calzolai, vedono solamente la pelle, la superficie, e su di essa basano il loro giudizio. Questa pelle è buona, questa pelle è liscia oppure è ruvida, ha il colore giusto o quello sbagliato. Venire è stata una perdita di tempo, essi non vedono lo spirito individuale e non hanno comprensione dello spirito supremo".
Il poema che narra queste vicende, la Ashtavakra Gita, chiamato anche Ashtavakra Samhita, è un testo dell'Advaita Vedanta ed è stato composto intorno al 500 A.C. E' quindi contemporaneo dei Sutra di Patanjali e della nascita del buddismo. Si rimanda quindi agli articoli su Patanjali per l'interpretazione dello yoga come ricongiungimento tra spirito individuale e spirito assoluto ed alla filosofia non dualista che ne è alla base, quello che ci importa in questo racconto è un'altro aspetto.
Astavakra sta dicendo apertamente alla corte del re che sono degli ingnoranti e degli sciocchi perchè giudicano le persone dal colore della loro pelle e dalla loro apparenza. Incredibile come uno scritto di 2.500 anni fa possa essere attuale. Come è possibile? Le evidenze storiche indicano che l'India era stata teatro di una grande migrazione, nella quale però i nuovi arrivati erano gli invasori ed erano probabilmente bianchi di pelle. Gli Ariani provenienti dal Centro Europa, intorno al 1.500 A.C. invasero infatti la valle del Gange, portando la loro lingua, il sanskrito, che infatti è una lingua indoeuropea come l'italiano, il latino e l'hindi e la loro religione incentrata sul culto di tre divinità principali. Ci piace pensare che il discorso di Astavakra si riferisca a questa mescolanza di razze e colori della pella e non possiamo non constatare come dopo 2.500 anni non ci siano più gruppi etnici con la pelle bianca in India.
Il secondo grande messaggio del nostro saggio è quello di non giudicare dalle apparenze, di non discriminare chi è invalido o chi comunque non corrisponde alla nostra idea di perfezione del corpo o di sembianze in generale.
La leggenda dice che il re Janaka venne profondamente colpito da queste parole e cacciò tutti i saggi presenti per diventare allievo di Astavakra e la raccolta di scritti che porta il suo nome è proprio il racconto di questo rapporto tra allievo e maestro, con molti punti in comune agli Yoga Sutra di Patanjali.
Come dicevamo in apertura la posizione del saggio Astavakra ci ricorda che i veri praticanti di yoga possono essere di qualsiasi forma o dimensione e possono eseguire le asana in qualsiasi modo sia a loro funzionale o congeniale. Come dice Alanna Kaivalya: La nostra flessibilità è misurata non dalla lunghezza dei nostri muscoli, ma dalla nostra volontà di migliorare le nostre sfide.
Come affermato in apertura al presente articolo, astavakrasana riproduce il corpo di Astavakra ripiegato su se stesso in otto punti, ma soprattutto ci piace pensare che sia la posizione di chi non si ferma alle apparenze, non essendo in fin dei conti necessaria una grandissima forza, ma la qualità più importante sia il coraggio di "buttarsi in avanti" aprendo il proprio cuore.