Gli ultimi dieci Sutra dell'opera di Patanjali raccontano come il corpo , la mente e lo spirito raggiungano la liberazione grazie allo yoga. Liberazione dai desideri effimeri, dal falso conoscere, la liberazione dalla sofferenza del vivere e dalle conseguenze delle proprie azioni. Quando ogni azione è guidata dai principi dello yoga illustrati nel secondo libro (non violenza ,verità , onestà , morigeratezza, frugalità ; purezza, appagamento, pratica intensa, studio di sè‚ abbandono allo spirito assoluto); quando ogni azione non ha più nessuno scopo utilitaristico, né di raggiungere il bene né di raggiungere il male; allora le azioni compiute non hanno più conseguenze che possano toccare il nostro cuore in questa vita; si raggiunge quindi la pace e la liberazione. Il percorso illustrato da Patanjali è stato lungo, ma ora che è possibile osservarlo nella sua interezza, colpisce in modo particolare l’organicità del pensiero. Egli ha descritto lo yoga compiendo un percorso non lineare, ma molto efficace: ha iniziato nel primo libro definendo il termine stesso di yoga, come la cessazione delle oscillazioni della mente e il perché dell’importanza di questa condizione per il ricongiungimento con lo spirito assoluto. Ha poi proseguito indicando passo per passo il sentiero da compiere. Il secondo libro è senza dubbio la parte fondamentale dell’opera, il manuale per come arrivare all’illuminazione, alla consapevolezza, alla felicità o alla liberazione che dir si voglia. E' il manuale dello yoga. Il secondo libro è la luce che indica la strada da seguire. Nel terzo capitolo Patanjali ha spiegato dove porta questa pratica, quali sono gli effetti di tutti questi sforzi fisici e mentali, gli effetti di questa pratica metodica e intensa. Infine l’autore ci mostra il quadro d'insieme o, meglio, ci spiega che la pratica non deve diventare fine a se stessa, ma all’ultimo va ababndonato anche l’attaccamento alla pratica e ai bellissimi doni che questa regala, in favore di una totale liberazione da ciò che è terreno e materiale, in favore di una pace completa ed assoluta. Questo ultimo capitolo è in generale quello preferito dagli studiosi, dai filosofi, ma anche dagli asceti, che qui trovano un’analisi delle grandi questioni della vita. Alcuni maestri indiani che ho conosciuto, bramini che avevano dedicato l’intera vita allo yoga, guardavano con sospetto e forse anche con disinteresse al quarto libro, per motivi differenti. Taluni mi spiegavano che erano felici nella loro pratica quotidiana, nell’unione della mente e del corpo e nell'estasi dello spirito e che altro non gli interessava. La quotidianità dei riti dei bramini e la visione del mondo induista, giocano forse un ruolo importante in questa scelta. Altri ritenevano che gli argomenti riguardanti le massime sfere dello spirito, non possano essere concettualizzati o, meno che mai, scritte, ma che siano solamente nel proprio animo e che, anzi, concettualizzarle avrebbe nuociuto alla loro esperienza perché avrebbe creato un sentiero non più completamente libero, ma preordinato o comunque con delle aspettative di un certo tipo. Immagino che queste stesse osservazioni potessero essere rivolte all’autore anche dai suoi contemporanei, siamo quindi estremamente grati a Patanjali per aver formalizzato qualcosa che i più forse avrebbero lasciato segreta, una scienza per iniziati, al massimo da tramandare da maestro a discepolo.
di Maria Sabatini
Continuiamo il viaggio tra i giovani insegnanti di yoga italiani per cercare di capire quale sarà il futuro prossimo di questa arte nel nostro Paese. Oggi Intervistiamo Matilde Fabbri, la sua storia ci ha molto colpito, aveva un tradizionale e ben retribuito lavoro come designer ad Aukland, quando ha deciso di lasciare il posto "fisso" per dedicarsi a tempo pieno allo yoga. Le scelte coraggiose e i caratteri determinati possono essere una grande ispirazione per tutti noi, quindi abbiamo deciso di chiederle di più.
Yoga magazine Italia: Ciao Matilde è un vero piacere fare la tua conoscenza. Ci racconti come hai iniziato a fare yoga e come sei diventata insegnante?
Matilde Fabbri: Ho iniziato a praticare durante il primo anno di università , vivevo in Inghilterra e andare ai miei appuntamenti di yoga settimanali era un modo per staccare totalmente dagli impegni universitari. E’ bastato pochissimo perché lo yoga diventasse parte del mio stile di vita. Ho iniziato praticando Hatha Yoga e poi Ashtanga. Tre anni dopo, finita l’università , mi sono trasferita ad Auckland in Nuova Zelanda e ho iniziato a praticare Vinyasa in una scuola a cui sono molto affezionata. Lì ho capito che volevo approfondire la mia pratica e così mi sono iscritta al Teacher Training di 300 ore a Bali. All’inizio non avevo in mente di insegnare, volevo solo approfondire la mia conoscenza. E invece subito dopo il training, un’esperienza bellissima e molto intensa di un mese, ho iniziato tenere le mie prime lezioni di yoga a Auckland, dove ho continuato a insegnare oltre al mio lavoro d’ufficio per due anni.
Il dolore nella parte bassa della schiena è un’esperienza con cui quasi tutti, indipendentemente dall’età e dallo stile di vita, hanno a che fare almeno una volta nel corso della propria esistenza. Tra le numerose possibili cause all’origine del disturbo, quella legata a una disfunzione sacroiliaca è più comune di quanto si creda ed è anche la più subdola, sia perché tende a colpire soggetti insospettabili, la cui colonna vertebrale è molto mobile, sia perché non esiste un esame oggettivo per diagnosticarla.
Le articolazioni sacroiliache sono i due punti alla base della colonna vertebrale in cui l’osso sacro e le ossa iliache si incontrano. Il sacro, visto frontalmente, è un triangolo con la punta verso il basso, visto di lato appare invece concavo sul davanti, convesso dietro, e inclinato con la coda retroposta rispetto alla parte alta. Ciascun lato del bacino è formato da tre ossa: ileo, ischio e osso pubico. Quello più in alto, che forma cioè la “cresta” con cui solitamente si indica l’anca, è l’ileo. Il sacro è incuneato proprio tra i due ilei e la sua parte alta ha una superficie ruvida e piatta che si incastra alla perfezione con la superficie ruvida e piatta di essi. Queste aree a contatto tra loro, rivestite di cartilagine, sono chiamate superfici auricolari e il punto in cui combaciano e si muovono è appunto l’articolazione sacroiliaca. Nella maggior parte delle persone la giuntura si muove pochissimo o non si muove affatto, poiché nello spazio tra le due ossa passano legamenti molto forti; si è notato anche che in molti soggetti, dopo i 50 anni, essa scompare a causa della fusione di sacro e ileo in un unico osso. Chi, per struttura fisica o stile di vita, non subisce questa fusione, ha l’articolazione più mobile ed è più esposto a problemi. Il disallineamento sacroiliaco è infatti piuttosto comune tra i praticanti yoga, perché più a rischio di overstretching. Immaginiamo un piatto di porcellana spezzato in due che, se non viene bene incollato, riportando le due superfici ruvide a combaciare alla perfezione, avrà sempre visibili la linea di frattura e lo spazio vuoto e rischierà di rompersi di nuovo. Allo stesso modo le superfici auricolari di sacro e ileo presentano escrescenze e avvallamenti che devono combaciare alla perfezione, altrimenti si avverte dolore e si possono persino deteriorare cartilagine e ossa.
A essere colpite dal dolore sacroiliaco sono soprattutto le donne. Per gli ormoni, che durante le mestruazioni, la gravidanza e l’allattamento rendono i legamenti più lassi, e per ragioni anatomiche: se infatti, nell’uomo, sono tre i segmenti del sacro che si articolano al bacino, nel gentil sesso sono solo due, quindi l’articolazione è meno stabile. Le sacroiliache nella donna sono inoltre meno curve di quelle maschili, il che comporta che combacino tra loro in modo meno perfetto, creando uno spazio vuoto tra le ossa. Questi fattori incidono anche sulla deambulazione, che nella donna comporta uno scivolamento tra le ossa che può stressare i legamenti.
Yoga Sutra: la mente, la realtà e la liberazione, IIa parte IV libro [YSIIII:14-22]
#yogasutra dicembre 05, 2017L'ultima parte del quarto libro degli Yoga Sutra di Patanjali, conclusivo dell'opera, costituisce la summa del suo pensiero e forse la parte più bella e importante dell’intero testo. Si è detta la stessa cosa per ogni capitolo e gruppo di sutra, è vero, ma il genio di Patanjali e la bellezza dello yoga da lui descritto continuano a emozionarci ancora, dopo la non trascurabile cifra di tre millenni trascorsi. Si può osservare che l'uomo è uno e da quando è venuto al mondo si è interrogato su chi fosse, sul perché esistesse e su quale fosse il significato di tutto questo. L'uomo è per eccellenza colui che attribuisce significato al mondo circostante: dall'arte al linguaggio, dalla filosofia alla religione, ma proprio per questo tende a sfuggirgli il significato ultimo e ha quindi cercato infinite strade che lo potessero restituire. L'approccio di questo capitolo è assimilabile ai grandi sistemi filosofici, seppure con proprie caratteristiche uniche, tra cui quella forse più importante di descrivere una scienza empirica, cioè non teorica, ma pratica. Tra gli otto passi che compongono lo yoga, non è prevista nessuna attività speculativa, ma solamente la pratica costante. Patanjali scrive per i maestri più che per i discepoli, per chi deve perpetrare il messaggio e per questo motivo si dilunga in questioni filosofiche, altrimenti estranee allo yoga. Patanjali ci dice che la pratica porta gli yogin a sentire la perfetta unione tra mente, corpo e spirito, ma il percorso e i risultati saranno soggettivi. Il percorso è precluso solamente a chi non prova (o a chi è pigro, come era solito ripetere Pattabhi Jois). La grandezza e unicità dello yoga consiste, secondo chi scrive, nell'iniziare non con grandi proclami ma con piccoli passi, con un po' di allungamento muscolare a terra. “Inizia a praticare, tutto il resto seguirà ” aggiungeva il grande guruji. Nessuno può prevedere esattamente quale sarà il viaggio, né dove condurrà , ma a chi volesse, con tenacia e costanza, perseverare in un’intensa pratica (tapah come dice il nostro autore), esso potrebbe riservare grandi sorprese e offrire una fonte di tranquilla gioia difficilmente eguagliabile, una ricerca appassionante che dura tutta la vita. E non sono parole vuote. Scusate l'esternazione, forse fuori luogo, ma a parlare è il mio amore per lo yoga. Ora lasciamo invece che a parlare sia Patanjali.