6 effetti collaterali dello yoga

agosto 17, 2018


di Marco Sebastiani

Tutti sappiamo che la pratica dello yoga ha moltissimi effetti positivi sulle persone. Inizialmente, da un punto di vista fisico, è impossibile non apprezzare i grandi giovamenti che porta. Successivamente ancora maggiori doni sono raggiunti mentalmente e su altri piani, che potremmo definire "spirituali". Ma lo yoga ha degli effetti collaterali? La vera risposta è no. Gli effetti collaterali possono insorgere se pratichiamo uno stile di yoga non adatto a noi stessi oppure se non ci sappiamo ascoltare oppure ancora se fraintendiamo il messaggio o la disciplina che ne sono alla base.

Ecco quindi di seguito cinque atteggiamenti da cui stare in guardia quando si inizia a fare yoga sul serio. Non necessariamente sono aspetti negativi, se tenuti sotto il giusto controllo, ma lo possono diventare.

1. Isolamento e introversione

Come tutte le attività che devono essere praticate a lungo e migliorate nella loro evoluzione, come suonare uno strumento musicale o correre le maratone, lo yoga richiede tempo e dedizione. Sia che ci svegliamo presto la mattina o che ritagliamo un lasso di tempo la sera, facilmente la pratica cambierà leggermente le nostre abitudini e questa è una cosa positiva. Dedicare del tempo della giornata a se stessi, ad una attività che ci piace e ci dona benessere, è il lavoro più proficuo che possiamo fare per migliorare il nostro bilanciamento psico-fisico. "Non posso ho yoga" è una frase che capiterà di dire sempre più spesso. Ma la questione può andare leggermente oltre, lo yoga porrà ordine nella nostra vita, facendoci sentire il desiderio di andare prima a dormire per svegliarci in forma per praticare oppure per arrivare più freschi all'ora della pratica, qualunque essa sia. Questi aspetti agiscono in sinergia, da una parte iniziamo a godere di sensazioni estremamente piacevoli in uno spazio molto interiore e quindi solitario, dall'altra il processo introspettivo può essere agevolato dalla solitudine.  Essere molto concentrati su se stessi, sul proprio mondo interiore ed essere appagati da questo, può portare a volte ad una chiusura dentro se stessi. Si capisce che la propria persona è tutto ciò che serve per essere felici e in alcuni soggetti questa scoperta può portare ad isolarsi dal resto del mondo. Il corretto indirizzamento di queste sensazioni è però proprio arrivare ad aprirsi agli altri e capire invece come la condivisione sia uno dei doni più belli dello yoga. La pratica collettiva ha proprio questa caratteristica e ci arricchisce per questo motivo, saper condividere le emozioni, saper percepire la grande energia degli altri può essere bello ed importante nella vita.




2. Eccessiva sensibilità ed empatia

Una pratica sistematica e appagante porta indubbiamente ad un ampliamento della propria sensibilità verso le sensazioni interiori. Solo chi pratica da un certo tempo può conoscere l'indagine sul proprio universo interiore che quotidianamente compiono gli yogin. In quei momenti di ascolto interiore, capita alle volte di lasciarsi andare alle sensazioni e alle emozioni e dopo di conoscersi un poco meglio. Anche questo è uno degli aspetti più belli e appaganti della pratica. Ha però un effetto collaterale, si diventa molto più sensibili alle disarmonie dello spazio che ci circonda. Atteggiamenti di violenza o di mancanza di comprensione verso il prossimo possono ferire in modo più profondo. Questo è il motivo per il quale la quasi totalità dei praticanti assidui sono vegetariani e sono impegnati con organizzazioni umanitarie e benefiche. E' sufficiente guardare ai nostri insegnanti di riferimento, per capire come la pratica dello yoga li abbia portati quasi immancabilmente verso la volontà di migliorare l'armonia intorno a loro, almeno in modo ideale e con le dovute eccezioni. Il rovescio della medaglia è che più facilmente si rimane feriti. Più facilmente si è affranti per la sofferenza altrui. Se si resta passivi, queste sensazioni possono portare un abbassamento della propria energia vitale e a deprimersi. Se, al contrario, si trasformano queste emozioni in modo propositivo, serviranno per avvicinarsi ad un impegno sociale oppure anche solo per voler aiutare le persone che ci sono vicine.

Andando più in profondità, la nostra stessa esistenza è possibile solo grazie alla perfetta capacità di rispondere all'intero universo. Responsabilità non significa assumersi i pesi del mondo. Non significa accettare la colpa per le cose che abbiamo fatto o non fatto. Non significa vivere in uno stato di colpa perpetua. Responsabilità significa semplicemente la nostra capacità di rispondere. Se decidiamo "Sono responsabile", avremo la possibilità di rispondere. Se decidiamo, "Non sono responsabile", non avremo la possibilità di rispondere.

 

3. Ossessione verso la pratica

L'ossessione verso la pratica è una fase che credo quasi tutti gli yogin di vecchia data abbiano sperimentato. Una frase che mi piace spesso citare in merito è:

"Obsessed is just a word the lazy use to describe the dedicated"
ovvero "Ossessionato è solo la parola che i pigri usano per descrivere chi si impegna".

Ma quindi, quale è il limite tra impegno ed ossessione? Secondo me è semplice. Dedicare molto tempo ad un'attività non significa essere ossessionati, significa volerla fare bene, sempre meglio, e godere dei risultati. Se volessimo suonare il pianoforte dovremmo esercitarci costantemente, solo così potremmo godere del suonare qualche composizione. I professionisti si esercitano anche dieci ore al giorno, ma non per questo sono ossessionati, sono dedicati. L'ossessione verso la pratica dello yoga a mio avviso consiste nel portare sempre il pensiero a questo argomento, ma in modo inutile, non produttivo, non essere consapevoli nel momento presente, ma fuggire in avanti a quando si praticherà. Riuscire a praticare diverse ore al giorno è sicuramente un fatto positivo, ma essere con il pensiero allo yoga quando stiamo lavorando o stiamo facendo altro, diventa ossessione. Ossessione e frustrazione spesso vanno di pari passo, mi posso sentire frustrato perché non sto praticando in questo momento e perché non posso farlo, oppure pensando continuamente ad una posizione o un pranayama che sto perfezionando, ma ai quali potrò dedicarmi solamente tra diverse ore. Parlare continuamente di yoga, anche quando è completamente inutile e con persone che non capiscono quello che stiamo dicendo, è un altro segno inequivocabile di ossessione. Saltare un giorno di pratica per impegni più importanti come la famiglia o il lavoro diventa una tragedia e di nuovo una frustrazione. Insomma si entra nel loop tra aspettative e appagamento o fallimento delle stesse, caratteristico di molte cause di stress nella vita quotidiana. Andiamo ad aggiungere ad esse anche lo yoga che invece dovrebbe risolverle. Non è il caso.

Un altro aspetto, figlio di questo ragionamento, è proprio l'ossessione nei confronti di posizioni che non riescono. L'atteggiamento maturo è quello di dedicare maggior tempo verso le posizioni in cui si è al limite nell'esecuzione, godendo delle emozioni che ci regalano e della bellezza delle sensazioni che trasmettono al livello fisico e mentale, sapendo anche che un giorno, come per incanto, riusciranno e poi riusciranno sempre con maggior facilità. L'atteggiamento ossessionato è quello di provare le posizioni perché si sono viste "in giro", senza valutare le sensazioni che trasmettono al nostro corpo, e rimanere frustrati negli insuccessi, conseguenti solo all'ossessione di voler riuscire il prima possibile. Non capiamo che esisterà sempre una versione più semplice ed una più difficile della posa che proviamo, una che ci riesce e una che non ci riesce, è vero per tutti, l'evoluzione è capire la giusta intensità per noi in quel momento.
Negli stili di yoga che prevedono una sequenza alla quale si aggiungono via via posizioni più difficili, ho riscontrato questo atteggiamento non di rado, con l'aggiunta di uno sbilanciamento nell'attenzione alle sole asana e al solo corpo materiale. Arriviamo così al prossimo argomento.


4. Eccessiva concentrazione sul corpo

Lo yoga sa regalare sensazioni meravigliose al nostro corpo fisico. Più ci conosciamo o più conosciamo quali insegnanti sanno entrare verso questa sintonia, più le sensazioni sono profonde ed appaganti. Allo stesso modo sappiamo che spingendo la pratica anche verso altri aspetti, possiamo avere il massimo. Fermarsi e concentrarsi in modo eccessivo sulle asana e sul corpo può essere limitante. Ad accrescere questo aspetto c'è anche il fatto che dopo ogni mese di pratica intensa, dopo ogni anno, sentiamo distintamente di diventare più forti e più flessibili, questa sensazione è meravigliosa, non dico che sia sbagliato ricercare questi aspetti, ma può far perdere il quadro di insieme. Dimagrire, avere un corpo tonico e flessibile, sono effetti molto piacevoli di una pratica impegnata e costante di yoga, ma se a questi aggiungiamo capacità di concentrazione, equilibrio, gioia interiore, eccetera, avremmo ottenuto il massimo dalla nostra pratica. Le contaminazioni dello yoga in stili che apertamente hanno una propensione al mero fitness, sono un buon esempio di quanto sto dicendo. Finiremo la pratica molto tonici, ma quasi immancabilmente sovreccitati, stanchi ma con sensazioni molto altalenanti e fondamentalmente in stato di disequilibrio interiore. Può essere comunque bello e appagante, ma non stiamo ottenendo il meglio dalla nostra pratica, basterebbe inoltre abbastanza poco per aggiungere alcune componenti che da quel punto ci portino verso una crescente armonia.
Un'amico, molto addentro alla meditazione, dice sempre che noi yogin facciamo tanto "gli spirituali", ma poi siamo ossessionati dal mettere qualche chilo in più o perdere la tonicità degli addominali e, in ultima analisi, siamo ossessionati dal corpo fisico. Questo è il motivo per il quale, secondo lui, tra i praticanti di yoga i tatuaggi sono molto più diffusi che altrove. Non so se questa considerazione sia vera ed avendo moltissimi tatuaggi sono cauto a riguardo, mi serve comunque come monito avere chiaro questo particolare rischio: il corpo è il tempio dello spirito, è bellissimo mantenerlo al suo massimo splendore, ma se poi il tempio rimane disabitato è un peccato.



5. Sviluppo dell'ego

Come praticanti di yoga possiamo essere portati a sentirci migliori delle persone che non praticano. Questo aspetto mi capita di vederlo in alcuni contesti nei quali spesso si frequentano esclusivamente altri praticanti o praticanti di un certo stile. Lo yoga aiuta ad essere la migliore versione di sè, come spesso si dice, ma questo comprende anche la grande umiltà di essere al servizio degli altri o comunque di non vedere se stessi riflessi in ogni altra persona o in ogni altra cosa, non parlare sempre di sè e non voler sempre dimostrare qualcosa a qualcuno. Io, Io, Io. In questo modo precludiamo il ricevere, l'aprirsi verso gli altri, il ricevere qualsiasi dono, perchè troppo concentrati su di noi.
Il rischio di accrescimento dell'ego, ovvero della rappresentazione mentale di se stessi e del proprio valore, è particolarmente vero per chi insegna. Non avere autoironia, non mostrarsi nella pratica estemporanea, comportarsi come dei guru che abbiano qualsiasi risposta, sono gli effetti più evidenti, ma nessuno ne è completamente immune. Di contro ogni insegnante deve avere delle certezze e trasmettere sicurezza agli allievi, altrimenti perde di credibilità, l'equilibrio è come sempre la cosa più difficile.
Uno dei miei maestri mi sconsigliava per questo motivo di praticare le asana mentre conducevo la classe, secondo lui creava aspettative negli allievi che volevano poi identificarsi con la posizione mostrata, seguite da falso appagamento o delusione, e in ultima analisi anche accrescimento dell'ego nell'insegnante che rappresentava in quel momento sempre la massima espressione di quella posizione, e incoraggiandolo verso una difficoltà molto spesso inutile solo per assecondare il proprio ego. Personalmente questo è però il modo che sento più mio di condurre la pratica delle asana e l'unico modo in cui riesco a trasmettere tutte le emozioni che provo in quel momento e che costituiscono poi il motivo vero per il quale mi piace insegnare. Quindi a maggior ragione tengo in grande considerazione questo monito.


6. Intolleranza alle regole sociali 

Lo sviluppo di intolleranza nei confronti delle regole sociali da parte degli yogin è un tema dibattuto sin dall'antichità nei testi classici, dalla Bagavat Gita agli Yoga Sutra e molti altri, e universalmente risolto suggerendo il rispetto di chiare norme etiche verso gli altri.  Ma perché il praticante, sia esso in una grotta dell'Himalaya o in una sala di Milano, sviluppa intolleranza verso le regole sociali? non è facile rispondere. Secondo me, da un lato lo yoga può portare come detto ad isolarsi e a percepire la società come un qualcosa di estraneo, dall'altra può permettere di spogliarci di tutte le sovrastrutture, entrando in contatto con chi siamo veramente. Quando parlo di sovrastrutture intendo educazione, regole sociali, eccetera. Questo implica alle volte di far sentire alcune norme come inutili perdite di tempo oppure come vere e proprie finzioni. Perchè perdere ore a scegliere, comprare e indossare uno scomodo tailleur, solamente per apparire migliore, quando potrei mettere i miei vestiti da yoga? Perchè perdere tempo ed energie per presentarmi e parlare a lungo con una persona per entare in contatto con la sua sfera più personale quando potrei stringerle la mano e abbracciarla subito dopo? Perchè andare tutti i giorni a lavorare controvoglia, quando per essere felice è sufficiente sedere a gambe incrociate e vivere di poco? eccetera eccetera, non so se sono riuscito a spiegarmi.  Conosco diverse persone che non lavorano, ti abbracciano appena ti conoscono e vestono sacchi di juta, ma molti di essi risiedono in luoghi dove il personale è vestito di bianco e le pareti sono imbottite. A parte gli scherzi, è un tema difficile, se vi affascina, consiglio la lettura della Bagavat Gita, in particolare nella versione tradotta e commentata da Sri Aurobindo, un grande maestro indiano, anche leader politico al tempo dell'indipendentismo verso l'Inghilterra, fervido sostenitore della necessità di impegno sociale degli yogin e comunque della necessità di essere calati nel tessuto sociale. In India c'è una certa tolleranza verso atteggiamenti contrari alle regole da parte dei praticanti di yoga, in particolare di chi compie una strada di rinunce per dedicarvisi.  Alcuni di loro possono andare in giro nudi o seminudi, consumare ingenti quantitativi di droghe, altrimenti vietate, e comportarsi comunque in modo "strano", non conforme alla prassi sociale. Sul fronte opposto, in altri casi, come ad esempio i bramini che praticano e insegnano yoga soprattutto al Sud dell'India, essi sono enormemente rispettati, sono depositari delle istituzioni religiose, hanno un ruolo sociale importante e sono i veri punti di riferimento per tutta la comunità, noti per l'integerrima prassi morale, almeno presunta, la situazione è quindi molto varia.
Avere consapevolezza di quando le nostre azioni sono dettate da consuetudini sociali è comunque un fatto positivo ed anche sviluppare uno spirito critico verso regole altrimenti spesso date per scontate.

 Come tutti gli strumenti potenti, anche lo yoga può avere delle zone d'ombra, ma mi auguro che il fatto di avere prontezza di quali possano essere le possibili derive e di come trasformarle in aspetti positivi, possa aiutare tutti noi. Questa è almeno la mia umile condivisione.

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