di Kenan Digrazia
«Non c'è nulla di più sublime della Gāyatrī» affermano le autorevoli ed antiche leggi di Manu (II, 83), śāstra, trattato hindu di diritto, che raccoglie le regole del vivere umano secondo il dharma. In effetti, se volessimo sintetizzare l'intera costellazione spirituale induista in un solo mantra, sicuramente nessun altro farebbe più al caso nostro della Gāyatrī, che sgorga ogni giorno, mattina e sera senza sosta, dalle labbra di innumerevoli folle di fedeli, di yogin e di asceti sparsi in tutto il mondo, sin da epoche remotissime.
Cominciamo dal nome. Con gāyatrī, iniziale minuscola, devanāgarī गायत्री, s'intende un sostantivo femminile sanscrito che indica un antico metro poetico composto da ventiquattro sillabe disposte secondo una terzina di otto sillabe ciascuna. Con tale metro furono composti numerosi inni vedici, in particolare la stanza del Ṛg Veda [RV] III, 62, 10, con autore il venerato il Mahaṛṣi Viśvāmitra, che sin dalla sua stesura assunse una grande importanza nell'ambito dell'antica religione vedica, prima fase storica della tradizione hindu. Questo mantra è quindi appellato con Gāyatrī,iniziale maiuscola, o anche con il nome di Sāvitrī, in quanto dedicato a Savitṛ, che vedremo non essere proprio esattamente il Sole, come invece spesso si trova scritto. Prima di coglierne l'importanza, dobbiamo specificare che un mantra non è una formula magica e neppure una frase puramente logica: esso collega, in modo particolare, attraverso l'unione delle facoltà intellettive e relative alla volontà e all'enunciazione dell'individuo, la spiritualità del singolo e la realtà presa nel suo insieme. Mantra deriva dal sanscrito man-, “pensare”, da cui manas, mente e, infatti, si tratta di un enunciato volontario e coincidente con l'azione (J. L. Austin), nel quale dalla mente scaturisce la parola, seguita dal respiro vitale: una riproposizione della struttura dell'Essere al livello “interiore”. In esso scorgiamo la sublimazione del desiderio di trascendere il tempo per mezzo della “ricapitolazione” dello stesso [vedi M. Eliade, Il mito dell'eterno ritorno].