I maestri e l'Occidente: Vivekananda e Yogananda

maggio 19, 2020



di Enrico Casagrande


Introduzione

A partire dalla fine del XIX secolo l’Occidente comincia ad ospitare maestri dell’India, formati nei solchi della tradizione dello Yoga del Sanatana Dharma, che attirano l’attenzione di un pubblico che tutt’al più conosce versioni esotizzate dell’argomento ed è pronto a processare informazioni che saranno il fertile terreno sul quale germoglierà lo Yoga occidentale, versione spesso adattata da un ethos essenzialmente utilitaristico. I primi, tra questi maestri, che vanno menzionati sono Swami Vivekananda e Paramahansa Yogananda che fanno conoscere al mondo uno Yoga impostato su tecniche di meditazione accolte per la loro connotazione vicina all’esoterismo già presente nell’humus culturale del pubblico dell’epoca. 

Vivekananda e il Parlamento Mondiale delle Religioni

Swami Vivekananda (1863 – 1902) al secolo Narendranath Dutta è tra i personaggi che più determinano l’interpretazione data dall’Occidente al mondo Hindu ed allo Yoga in particolare. L’allievo del bhakta Ramakrishna, venerato in India come un santo, proviene da una famiglia benestante e colta di Calcutta. La favorevole condizione gli permette di studiare il pensiero Occidentale e di viaggiare per il suo paese, all’epoca colonia britannica, intercettando le contraddizioni dell’imperialismo che non aveva in agenda un esplicito sostegno o alcuna assistenza per le popolazioni, ne tantomeno una politica di gestione delle carestie che affliggevano la sua gente. Tra i massimi promotori del Neo – Vedanta e influenzato dai principi del Brahmo Samaj, il giovane Narendranath è un karma yogi ed un profondo conoscitore del pensiero del Vedanta1. Nel 1894 è tra i conferenzieri al Parlamento Mondiale delle Religioni tenutosi a Chicago: egli lascia un segno indelebile nella percezione dei presenti2. La sua partecipazione, nata essenzialmente dall’idea di ottenere attenzione e quindi sostegno economico a favore delle aree più indigenti dell’India diventa occasione per mostrare le vette della speculazione spirituale del Sanatana Dharma. Con esso presenta le potenzialità sopite in ogni essere umano e risvegliabili attraverso lo Yoga che lo Swami illustrerà in un’opera adattata per il nuovo pubblico: Raja Yoga, Karma Yoga e La filosofia del Vedanta scritti nel 1896 e Bhakti Yoga pubblicato postumo nel 1914. Nel 1895 lo Swami fonda a New York la Vedantic Society con l’obiettivo di diffondere la lezione di Ramakrishna ed i saperi della cultura Vedica. L’organizzazione è tutt’ora attiva. Nello stesso anno fonda in India la Ramakrishna Mission, in questo caso, un ordine di tipo monastico innovativo rispetto a quelli ortodossi per la sua vocazione culturale e sociale improntata al pensiero neo – vedantico del fondatore (G. Flood, L’Induismo, P. Biblioteca Einaudi, 355, 2006, Torino). La fortuna di Vivekananda, oltre ad essere frutto delle sue competenze, risiede nel fatto che argomenti di carattere spirituale se non decisamente esoterico risuonano nel pubblico dell’epoca con una decisa agilità: siamo nel periodo della Teosofia, della Scienza Cristiana, del New Thought e delle molteplici forme di spiritualismo che possono essere ritrovate nelle numerose branche delle chiese protestanti americane, nei salotti medianici, ed in altre realtà di aggregazione che circolano in modo più o meno occultato nella società Occidentale. L’insegnamento a sfondo mistico di un colto personaggio indiano trova in effetti un sostrato in grado di accoglierlo moltiplicandone il potenziale dei contenuti. Il Vedanta e lo Yoga sono presentati in modo facilmente assimilabile, le iniziazioni non richiedono rinunce radicali come nella tradizione, l’immagine pluralista e relativista teologicamente offerta diventa una strada accessibile a chiunque: lo Yoga è pronto a divenire il prodotto di un processo di acculturazione che fungerà da ponte tra l’India e il resto del mondo. Si stanno gettando le basi per un affrancamento dell’India, agli occhi del pensiero imperialista arretrata e assoggettata, che invece appare come culla di cultura e di saperi autentici che restituiscono all’uomo un rapporto diretto con le realtà ultime dell’esistenza. 
 

Paramahansa Yogananda, l’Autobiografia di uno Yogi

L’autore del Bestseller “Autobiografia di uno Yogi” del 1946, Paramahansa Yogananda (1893 – 1952), nato Mukunda Lal Ghosh, è il personaggio che segna definitivamente l’inizio della popolarizzazione transculturale dello Yoga. Similmente al suo predecessore Vivekananda diviene uno dei personaggi di spicco al Congresso Internazionale delle Religioni tenutosi in questo caso a Boston nel 1920 ed organizzato dall’American Unitarian Association3. Il suo discorso dal titolo “La scienza della religione” è una sintesi del pensiero vedico e del suo potenziale universalismo. La componente “scientifica” della proposta del suo Yoga, il Kriya (sanscrito क्रिया, sforzo), è un incontro tra la tecnica della Bhakti e della proposta di Patanjali, mentre la pratica posturale stenta ancora ad essere proposta. La vocazione Occidentale dell’epoca nei confronti di saperi iniziatici non è ancora diffusamente interessata ad accogliere l’idea di individuare nel corpo un mezzo per aspirare allo sviluppo psicofisico. Fedele al progetto del suo guru Sri Yukteswar (1855 – 1936), esperto di astrologia vedica, dopo il suo arrivo negli Stati Uniti, Yogananda fonda a Los Angeles nel 1925 la Self Realization Fellowship, più nota con l’acronimo SRF, con il fine di diffondere la pratica del Kriya. La SRF guadagna presto popolarità in tutto il mondo e l’opera del maestro rimane viva fino a tutt’oggi in chiunque sia interessato allo Yoga. Yogananda insegna tecniche di meditazione indipendentemente dalla confessione della persona interessata a conoscerle e l’originale comparazione tra Vangelo cristiano, Bhagavad Gita e Yoga nei suoi scritti e nelle sue conferenze spiegano il motivo del successo a distanza di quasi ottant’anni dalla sua prima pubblicazione dell’”Autobiografia di uno Yogi”4.

Motivazioni riformiste

Gli Yoga di Vivekananda e Yogananda sono accomunati da una forte enfasi sulla pratica meditativa e sulle potenzialità sopite nella natura umana. Questa visione metafisica dell’uomo è propria di una certa tradizione del Sanatana Dharma che, come visto, rappresenta in tale ottica un approccio altamente integrabile nelle antropologie esoteriche presenti nell’America e nell’Europa a cavallo tra il XIX e il XX secolo. I due maestri agiscono in un periodo in cui il colonialismo britannico è ancora una realtà, Yogananda muore solo cinque anni dopo la raggiunta indipendenza indiana. Celebrati in tutto il mondo, a pieno diritto, come due tra i maestri contemporanei dell’India moderna, i due Yogin vanno compresi nel contesto storico all’interno del quale si trovano ad operare ed immaginarli come semplici ambasciatori della scienza dell’unione appare riduttivo e irrealistico. Il fatto che Vivekanada sia mosso dallo spirito riformista del Brahmo Samaj e sia riconosciuto come un riferimento per eccellenza del neo – vedanta rendono evidente come il suo messaggio ecumenico presenti il desiderio di portare all’attenzione del mondo la profondità speculativa di un universo filosofico e religioso che non può essere costretto dai vincoli del colonialismo e dell’indigenza. L’enfasi posta da Yogananda sui parallelismi tra il cristianesimo e l’induismo mostrano, oltre all’impegno nel condividere lo Yoga, la volontà di trovare gli strumenti culturali adeguati a portare l’India oltre i propri confini e le contingenti difficoltà. 
 

Conclusioni

I primi maestri di Yoga giunti in Occidente hanno portato contenuti che il vasto pubblico non sempre ha potuto cogliere. Si può affermare che i loro obiettivi sono da considerarsi raggiunti sia sul piano politico che strettamente yogico. In quest’ultimo caso, la grande popolarità del loro lavoro, oltre ad essere tutt’ora presente, ha potuto fungere da apripista per la successiva generazione di maestri dello spirito rinnovato dell’India. Uno spirito che, sfrondato da un’ortodossia non facilmente assimilabile da parte del resto del mondo, ha potuto essere diffuso dai nuovi yogin con libero fervore alimentato anche dal nascente spirito della controcultura giovanile che avrebbe iniziato un proprio processo di acculturazione a livelli più o meno profondi e comunque in grado di mutare i riferimenti filosofici dell’Occidente per sempre.
Riferimenti
G. Flood, L’Induismo, temi, tradizioni, prospettive, P. Biblioteca Einaudi, 2006, Torino
Yogananda Paramhansa, Autobiografia di uno yogi, 1994, Astrolabio Ubaldini, Roma
Swami Vivekananda, Yoga pratici, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1997

1 Il Brahmo Samaj viene fondata nel 1828 da Raja Ram Mohan Roy e Debendranath Tagore con lo scopo di riformare l’induismo ortodosso attraverso opere di carattere culturale quali ad esempio la promozione dell’educazione estendendola alle donne ed alle caste più povere e all’eliminazione dei matrimoni precoci. Affine al Brahmo Samaj, il Neo – Vedanta è una corrente riformista nata nel XIX secolo che propone una visione unitaria dell’articolato universo del Sanatana Dharma al fine di promuovere uno spirito nazionale indiano in grado di rispondere alle sfide della modernità e del colonialismo.
2 Il Parlamento Mondiale delle Religioni di Chicago è un evento promosso da Charles C. Bonn, un avvocato di fede swedemborghiana, un credo di matrice cristiana intriso di elementi provenienti dall’occultismo europeo.
3 L’American Unitarian Association è una denominazione cristiana nata nel 1825. La sua dottrina enfatizza il ruolo profetico del Cristo e respinge il concetto di trinità. Fortemente antidogmatico l’unitarismo americano ritiene l’individuo in grado di giungere alla Verità autonomamente. L’apertura a messaggi spirituali non vincolati all’ortodossia cristiana diviene una sua peculiarità.
4 Per avere un dato significativo sull’opera di Yogananda si consideri che, ad oggi (aprile 2020), l’”Autobiografia di uno Yogi occupa il tredicesimo posto nella categoria “Best Sellers in Biographies of Religious Leaders” di amazon.com.

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