Hata Yoga Pradipika, fine del I° libro: dieta e approccio alla pratica [HYP58-67]

settembre 20, 2018



di Marco Sebastiani

"Il successo non si raggiunge indossando l'abito adatto o parlando di Yoga, ma praticando." Gli ultimi nove sutra che concludono il primo libro dell'Hata Yoga Pradipika sono di un'attualità sconcertante. Abbiamo spesso ironizzato sul tono non esattamente filosofico di quest'opera, ma a volte di questo c'è bisogno. I versi che seguono sono un prontuario alla pratica dello yoga. Versi talmente di buon senso e talmente moderni che sono stati, e sono ancora, citati dai più famosi maestri al mondo. Capita infatti che siano maldestramente attribuiti da biografi o riviste varie a questo o quel guru, ma essi citano ovviamente l'Hata Yoga Pradipika, opera imprescindibile per chiunque si avvicini allo yoga, soprattutto agli inizi, quando nulla è scontato e un approccio troppo elevato può confondere, disorientare, far credere che lo yoga sia filosofia del pensiero. Tutti gli scritti antichi concordano che "lo yoga è azione",  "kriya yoga" dirà Patanjali. Successivamente queste azioni possono avere concettualizzazioni profonde e motivazioni molto elevate, così come i benefici e i doni che si conseguiranno. Ma lo yoga e la sua pratica - ovvero porre un qualche ordine nella propria vita ed esercitarsi con le posizioni, la respirazione e la meditazione - sono la medesima cosa. Paradossalmente, sarebbe possibile ignorare tutto l'impianto filosofico e ayurvedico sottostanti e comunque raggiungere alti risultati, avvicinarsi alla perfezione come dirà Svatmarama, solo praticando, mentre il contrario non è nemmeno immaginabile.

Ma vediamo quindi quali suggerimenti pratici e di buon senso fornisce l'hata Yoga Pradipika, riguardo la dieta e l'approccio alla pratica.


HYP.I:58. Susnigdhamadhurāhāraścaturthāṁśavivarjitaḥ|
Bhujyate śivasamprītyai mitāhāraḥ sa ucyate||


A chi è devoto allo yoga è consigliata una dieta moderata, un cibo ben cucinato, dolce e grasso, che lascia libero un quarto dello stomaco, mangiato come un'offerta a Shiva.

All'inizio del primo libro l'autore ha insistito molto sul fatto che per un praticante sia essenziale mangiare poco. Questo concetto è ora ribadito e approfondito. Bisogna sempre lasciare libero un quarto dello stomaco. In tutto l'Oriente, dove la morigeratezza è un valore apprezzato, si insegna fin da bambini che bisogna smettere di mangiare poco prima di essersi completamente saziati. Mangiare in modo eccessivo è considerato disdicevole e sintomo di smodatezza, caratteristica esecrabile. Questo è in netto contrasto con le abitudini occidentali. Le nostre abitudini alimentari ci spingono a saziarci completamente e ad andare oltre, basti pensare all'usanza del dolce a fine pasto, oppure dei digestivi o del caffè per contrastare il senso di sazietà o addirittura di eccessiva pienezza. Mangiare molto è sintomo di ricchezza e di saper godere a pieno del cibo e della vita. Differenze di valori. E' però certo che chi pratica yoga tutte le mattine all'alba non può alimentarsi in questo modo, come sanno tutti gli yogin esperti, mangiare eccessivamente è semplicemente inconciliabile. Persino mangaire tardi la sera ha un cattivo effetto sulla pratica, perchè ci si alza la mattina presto senza aver digerito completamente o comunque senza aver svuotato completamente l'intestino.  Figuriamoci se avessimo mangiato smodatamente la sera prima. In modo analogo, difficilmente anche a pranzo, dopo aver praticato la mattina, saremo in grado di mangiare in modo eccessivo. Più pratico e più troverò equilibrio nel mangiare, questo è un effetto naturale dello yoga. Svatmarama dice ancora un'altra cosa molto interessante: il cibo va mangiato come se fosse una cosa sacra. Non ci alimentiamo per gratificarci, ma per sostenere il nostro essere. Mangiare può essere visto come parte della pratica, così come tutta la vita, nello stile di alcune scuole di yoga, ma l'autore non dice apertamente questo. Piuttosto siamo spesso portati a mangiare in modo meccanico, senza la dovuta attenzione e il dovuto riguardo, senza prenderci il tempo adeguato. E' un grande consiglio. L'abitudine di ringraziare per quanto ricevuto prima di iniziare a mangiare, fa alle volte sorridere e sembra naive, ma può aiutare a porci nella giusta attitudine, a non dare nulla per scontato e a gioire del momento presente, delle piccole cose. Di seguito verranno dati dettagli ancora più specifici su come sia consigliato alimentarsi.

HYP.I:59. kaṭvāmla-tīkṣhṇa-lavaṇoṣhṇa-harīta-śāka-
sauvīra-taila-tila-sarṣhapa-madya-matsyān |
ājādi-māṃsa-dadhi-takra-kulatthakola-
piṇyāka-hingghu-laśunādyamapathyamāhuḥ ||


I saggi dicono che sono controindicate per chi pratica yoga le sostanze amare, acide, piccanti, troppo salate e calde, gli ortaggi verdi, la farinata acida, l'olio, i semi di sesamo, la mostarda, le bevande inebrianti, il pesce, la carne di capra o altri animali, il latte cagliato, il burro mischiato con l'acqua, gli asparagi, le giuggiole, i dolci oleosi, il finocchio fetido, l'aglio, eccetera.

HYP.I:60. bhojanamahitaṃ vidyātpunarasyoṣhṇī-kṝtaṃ rūkṣham |
atilavaṇamamla-yuktaṃ kadaśana-śākotkaṃ varjyam ||

Occorre conoscere la dieta non adatta ad uno Yogi, deve essere evitato il cibo scaldato nuovamente, che si sia seccato, insipido o troppo salato, acido, stantio o con troppa verdura.

La differenza tra il clima indiano e quello europeo, nonchè la diversità dei vegetali abitualmente consumati, rende alcune indicazioni poco indicative, ma le fondamenta sono chiarissime. La dieta per chi pratica yoga deve essere semplice e varia. Vegetariana, non vegana come vedremo, anche se ha poco senso questa precisazione in quanto le condizioni di allevamento per la raccolta del latte o di altri prodotti erano nell'India rurale talmente buone da prevedere addirittura la mungitura di vacche in recinti sacri o l'utilizzo come locomozione di animali considerati venerabili. Svatmarama non sembra però farne una questione morale.  Abbiamo visto come per lui i precetti etici non siano di primaria importanza. Sembra farne una questione meramente alimentare. Mangiare carne rende il corpo più rigido e la digestione più difficoltosa. Non è un mistero che l'urea e l'acido urico, abbondantemente presenti nella carne, depositino cristalli su tendini, muscoli, articolazioni e tessuto della fascia rendendoli meno flessibili. [confronta l'articolo Yoga: vegetariani VS onnivori]. Mangiare carne introduce nel corpo una serie di sostanze tossiche dovute alla putrefazione. La carne è infatti costituita dal tessuto muscolare degli animali che non si può consumare fresco, poiché, dopo la macellazione sopravviene l'irrigidimento detto rigor mortis, che termina circa 70-80 ore dopo. Per raggiungere il giusto grado di "tenerezza" è necessaria allora la frollatura, per un periodo che va dai 2 ai 20 giorni, con conseguente dissoluzione del tessuto ed una prima alterazione delle cellule del muscolo. Si tratta del disfacimento cellulare che prelude alla vera e propria putrefazione, con formazione di molte sostanze tossiche. Le più note sono scatolo, indolo, putrescina, cadaverina, neurina. Gli antichi yogin forse non avevano queste nozioni, ma potevano percepire gli effetti collaterali derivanti come la diminuzione dell'elasticità, il cattivo odore della pelle, dell'alito e degli escrementi, l'effetto negativo sulla concentrazione e sulle funzioni cerebrali, eccetera. Senza entrare nel merito dei fattori morali.
Sono altresì da evitare cibi che possono generare fastidi, malesseri o l'insorgenza di vere e proprie patologie. Cibi troppo saporiti, piccanti o acidi facilmente generano fastidio allo stomaco o altri disturbi. Analogamente vanno evitati gli alcolici, per i cattivi effetti sia fisici che mentali.
L'aglio e il finocchio fetido, una particolare pianta aromatica parente del finocchio selvatico, sono, nella tradizione ayurvedica considerati afrodisiaci, e quindi per questo motivo, da evitare.
Non esistendo all'epoca i frigoriferi ne il ghiaccio, l'autore mette in guardia dai cibi vecchi,  scaldati più volte o che si siano asciugati rimanendo all'aria. Può stupire l'indicazione di non mangiare troppe verdure, ma, come ben sanno vegetariani e vegani, facilmente un pasto di sole verdure può causare disturbi di stomaco o intestinali.



HYP.I:61. Vahnistrīpathisevānāmādau varjanamācaret|
Tathā hi gorakṣavacanam - Varjayeddurjanaprāntaṁ vahnistrīpathisevanam|
Prātaḥsnānopavāsādi kāyakleśavidhiṁ tathā||


Secondo le parole di Goraksha: "Bisogna evitare la compagnia di persone inadatte, l'occuparsi dei fuochi sacrificali, delle donne e dei pellegrinaggi; occorre rinunciare ai bagni di prima mattina, ai digiuni e a tutto ciò che puo' creare malessere al fisico".

L'autorità delle successive indicazioni, viene fatta risalire a Goraksha, il quale era comparso al settimo posto nella successione del lignaggio dell'Hata Yoga, esposto all'inizio del primo libro. Il discorso sulla dieta viene intramezzato da alcune norme di comportamento generale. Viene infatti detto che gli yogin non devono occuparsi dei fuochi  (vahni), separando così in modo netto la figura dello yogi da quella del sadhu, ovvero il monaco rinunciatario. Ricordiamo infatti come tra gli strumenti caratterizzanti di questi santi uomini rientrino quasi sempre le pinze per il fuoco, proprio perchè è una loro peculiarità quasi universale la pratica vicino al fuoco. Come sappiamo,  la totalità dei sadhu, sono dediti a qualche tipo di yoga, ma non è mai questa la loro attività principale. Lo yoga costituisce per loro un mezzo nel contatto con la divinità, non un fine. Per lo yogin al contrario la pratica è il fine ultimo, in quanto anche il distaccamento dalla pratica fa parte della pratica stessa. Sembra un esercizio retorico, ma non lo è. Il ricongiungimento con lo spirito universale, il samadhi, è l'ultimo gradino della dello yoga, ma fa sempre comunque parte della propria pratica. Ritorneremo su questo concetto.
Questo verso lascerebbe anche intendere di non occupare troppo tempo in rituali e puja, anche se, come sappiamo, molti bramini, i sacerdoti induisti, praticano ed insegnano lo yoga. Non spingiamoci però troppo oltre, esiste un grado di incertezza sul fatto che non si stia parlando di fuochi rituali, ma semplicemente del fuoco e l'indicazione di starne lontano sarebbe banalmente relativa alla stanchezza che stare vicino al fuoco genera. Alcuni autori si orientano in questa direzione. Le successive indicazioni ci hanno però spinto definitivamente verso la nostra interpretazione. Viene infatti detto apertamente di non compiere pellegrinaggi verso i luoghi di culto, altro elemento caratterizzante dei sadhu, la cui vita è proprio scandita da queste pratiche devozionali e dalle feste sacre celebrate in questi luoghi in alcuni periodi dell'anno. Anche le abluzioni mattutine sono considerate da evitare e tipiche dei sadhu, anche in questo caso esiste il fondato dubbio che l'autore si riferisca banalmente a bagni eccessivamente freddi, magari nella stagione cattiva, prima della pratica. A suggello di questo discorso, si sconsigliano i digiuni, pratica ascetica per eccellenza. In conclusione, sembra che si voglia qui stabilire un confine netto tra sadhu, santi monaci rinunciatari dediti all'adorazione di una qualche divinità e yogin, persone sulla via della purificazione e del ricongiungimento.
La compagnia di persone senza uno scopo nella vita, lontane dalla via dello spirito o con pensieri negativi, deve essere evitata. Ringraziamo Svatmarama per avercelo ricordato una volta in più.
L'autore mette anche in guardia dai piaceri del sesso, non è aggiunto molto dippiù, percui molte sono le supposizioni che possono essere fatte, ma non le faremo, lasciando ad ognuno le proprie considerazioni.





HYP.I:62. Godhūmaśāliyavaṣāṣṭikaśobhanānnaṁ kṣīrājyakhaṇḍanavanītasitāmadhūni|
Śuṇṭhīpaṭolakaphalādikapañcaśākaṁ mudgādi divyamudakañca yamīndrapathyam||


Sono molto benefici per chi pratica yoga: il  grano, il riso e l'orzo, il riso
Shâshtika, il latte, il burro chiarificato (Ghee), il burro fresco, lo zucchero scuro, lo zenzero, il frutto di Patolaka, le cinque verdure (Jîvantî, Vâstu, Mûlyâkshi, Meghanâda e Punarnava), le lenticchie e l'acqua pura.



HYP.I: 63. Puṣṭaṁ sumadhuraṁ snigdhaṁ gavyaṁ dhātuprapoṣaṇam|
Mano'bhilaṣitaṁ yogyaṁ yogī bhojanamācaret||


Uno Yogi deve mangiare cibi nutrienti, grassi, ricchi di latte, dolci, adatti alla pratica.

In buona sostanza la dieta consigliata è a base di cereali, formaggi, alcune verdure e legumi, preparati in modo leggero, adatto alla pratica. Dopo cinquecento anni la moda dello zenzero constatiamo che non sia ancora passata. A parte gli scherzi, l'indicazione sulla purezza dell'acqua, pensando al contesto di riferimento, è tutt'altro che scontata. Anche in Europa nel 1400 non era chiarissimo che l'acqua infetta fosse spesso il veicolo di moltissimi problemi di salute.


HYP.I:64.Yuvā vṛddho'tivṛddho vā vyādhito durbalo'pi vā|
Abhyāsātsiddhimāpnoti sarvayogeṣvatandritaḥ||


Un uomo, giovane, maturo o vecchio, debole o anche malato, otterrà il
successo praticando instancabilmente lo Yoga.


Questa citazione è attribuita a innumerevoli maestri indiani, ma ha la sua base nell'Hata Yoga Pradipika, ed è a volte declinata con accenti di marketing più o meno marcati. Solamente i pigri non sono adatti allo yoga. Anche le persone di mezza età, anziane o malate possono praticare, adattando ovviamente la pratica alla loro condizione, e perseguire i suoi obiettivi, aspirare al miglioramento che deriva dallo yoga.


HYP.I:65. Kriyāyuktasya siddhiḥ syādakriyasya kathaṁ bhavet|
Na śāstrapāṭhamātreṇa yogasiddhiḥ prajāyate ||


La perfezione è raggiunta da chi pratica assiduamente lo Yoga. Come potrebbe accadere a chi non pratica? Non si può ottenere il successo nello Yoga solo leggendo o studiando le scritture.


HYP.I:66. Na veṣadhāraṇaṁ siddheḥ kāraṇaṁ na ca tatkathā|
Kriyaiva kāraṇaṁ siddheḥ satyametanna saṁśayaḥ ||


Il successo non si raggiunge indossando l'abito adatto o parlando di Yoga. Solo la pratica è causa della perfezione (siddheḥ); non c'è alcun dubbio, questa è la verità.


HYP.I:67. Pīṭhāni kumbhakāścitrā divyāni karaṇāni ca|
Sarvāṇyapi haṭhābhyāse rājayogaphalāvadhi||


Le posizioni, i diversi tipi di Kumbhaka e le altre divine tecniche, devono tutte essere eseguite durante la pratica dell'Hatha-Yoga per raggiungere il frutto del Raja-Yoga.

Questi sutra sembrano scritti oggi. Ci parlano in modo così diretto da essere inutile qualsiasi commento. Come dicevamo, lo yoga è azione, è pratica, potrebbe anche prescindere dall'apparato filosofico e di conoscenze che ne sono alla base e comunque permettere di raggiungere i suoi obiettivi.  Non esiste lo yoga come cammino verso il miglioramento senza pratica quotidiana delle asana, del pranayama e della meditazione.
Evidentemente anche ai tempi di Svatmarama alcune persone si atteggiavano a yogin vestendone gli abiti (vesa) caratteristici e tediando il prossimo con inutili discorsi (katha). Ma non è l'abito a fare lo yogi, ne le chiacchiere, ne la propria rappresentazione di se stessi ci verrebbe da aggiungere.

Infine una dichiarazione piuttosto importante. All'inizio dell'opera Svatmarama aveva affermato che il suo Hata Yoga fosse una scala, una preparazione per arrivare al Raja Yoga, offerta a chi fosse preclusa la conoscenza del Raja Yoga. Avevamo spiegato  [confronta: Hata Yoga Pradipika: Introduzione e primi sutra (HYP:1-11)] la contraddizione insita in questo discorso e come a nostro avviso questo fosse un espediente abbastanza malcelato dell'autore per mascherare il suo testo ai non iniziati e orientarli verso il Raja Yoga o comunque altrove. Qui ne abbiamo la prova: l'Hata Yoga conduce al frutto del Raja Yoga, non alla sua pratica. Ovvero l'Hata Yoga è alternativo al Raja Yoga e conduce ugualmente all'illuminazione finale, alla perfezione. Per chi fa coincidere il Raja Yoga con lo Yoga di Patanjali, questo discorso equivale a voler "asciugare" la pratica descritta negli Yoga Sutra, eliminando o comunque togliendo enfasi ai discorsi su yama e nyama, ovvero sui precetti etici e morali da seguire sulla via dello yoga, e sintetizzando i passi successivi in asana, posizioni, pranayama, controllo dell'energia e del respiro, ed illuminazione che ne consegue. L'Hata Yoga Pradipika ha molti estimatori proprio per la sua semplicità e per la semplicità della via proposta. La frase "practice and all is coming", pratica e tutto arriverà, famoso motto di Sri Pattabhi Jois, è una perfetta sintesi di questo percorso. Inizialmente non farti troppe domande, non rivoluzionare la tua vita, inizia semplicemente a praticare un poco, se questo è il tuo percorso praticherai sempre di più e rivoluzionerai di conseguenza, senza forzature o imposizioni, la tua vita. Vedremo nei prossimi libri come questo percorso dell'Hata Yoga Pradipika appaia molto evidente.


Iti haṭhapradīpikāyāṁ prathamopadeśaḥ||
il primo insegnamento dell'Hata Yoga Pradipika è terminato


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