Insegnamento e formazione nello yoga

febbraio 19, 2020

di Enrico Casagrande
introduzione di Maria Sabatini

E' con estremo interesse che pubblichiamo oggi l'articolo di Enrico Casagrande, divenuto ormai parte integrante della redazione di Yoga Magazine, sui metodi di formazione ed educazione inerenti allo yoga. Il tema è complesso e può essere affrontato da molti punti di vista. Un approccio potrebbe essere quello tradizionale indiano, basato sulla relazione pluriennale tra guru, maestro, e shishya, allievo, nonchè sul tramandarsi del sapere dall'uno all'altro sino al divenire a sua volta maestro da parte dell'allievo meritevole, o realizzato, secondo il cosiddetto parampara ovvero il lignaggio, la discendenza del sapere, il passaggio della tradizione. Chi ha frequentato gli ambienti indiani dello yoga, sa che questo metodo è molto lontano dal concetto di insegnamento codificato, come viene inteso in Occidente. Per questo motivo, quasi tutte le scuole di yoga Occidentali hanno strutturato una formazione più simile alla "nostra" metodologia e scaduta, purtroppo spesso, a livello di mero business tra certificazioni fantasiose, autoreferenziali, e docenti improvvisati. Non si vuole fare qualunquismo, esistono centri di assoluta eccellenza, persone che hanno dedicato la vita alla conoscenza dello yoga ed alla sua corretta trasmissione ai futuri insegnanti, è però sotto gli occhi di tutti come oggi sia preponderante la vendita del titolo di "insegnante di yoga", dopo corsi di un mese, oppure sette weekend, al costo di più di duemila euro, da parte di persone che non hanno la decennale esperienza, almeno di pratica, richiesta per un compito tanto difficile.

Il punto di vista di Enrico Casagrande è quello del pedagogista ed è quindi particolarmente interessante per andare alla ricerca di quali siano le doti e le conoscenze per l'insegnamento di yoga, oggi, qui in Occidente, secondo i nostri metodi.



Considerazioni per una pedagogia yoga

L’insegnamento dello yoga è un tema assai dibattuto nel mondo degli addetti ai lavori. Non esistono titoli che siano disciplinati in Italia dalla legge e tale assenza non è necessariamente un problema se si considera la complessità che va a costituire il mondo dello yoga. Nelle pagine che seguono si cerca di riflettere sulle condizioni necessarie ad un agire educativo che possa essere pedagogicamente fondato e metodologicamente all’altezza della richiesta del fruitore dello yoga.

Riflessioni educative

Le molteplici offerte di palestre, centri benessere e progetti scolastici in merito allo yoga, nei contesti che possono essere avvicinati con una certa agilità da parte del fruitore italiano, sono accomunate dal riferimento del formatore yoga alla legge del 14 gennaio 2013 n. 4. Essa inserisce l’attività del formatore yoga all’interno delle professioni non regolamentate. Non sono presenti in tal senso vincoli specifici che definiscano l’insegnante di yoga. Di fatto chiunque abbia la possibilità di svolgere tale compito, dato che attestati ed affiliazioni seppur accessibili e sovente rigorosamente definiti non sono ad oggi alcunché di legalmente necessario. Chi insegna con maturata competenza è consapevole del fatto che i corsi biennali e triennali distribuiti sul territorio italiano e non solo non possono in alcun modo qualificare un formatore yoga quanto piuttosto un più o meno “informato” istruttore di fitness e di mindfulness; elementi certamente necessari a fornire un bagaglio conoscitivo al futuro formatore, ma inevitabilmente poco sufficienti per poter riconoscere in lui uno yogi come chiederebbero le differenti scuole sviluppatesi dal darshana haituka – saperi ragionati - della tradizione vedica. Ciononostante, può essere facile cadere nella tentazione un poco naïve di muoversi proprio su quest’ultimo versante, e ritenere in grado di insegnare uno yoga adeguatamente completo, l’individuo yogicamente realizzato così come rappresentato dalla tradizione, ovverosia colui che ha unito il sé individuale o jivātma con quello universale o Paramātmā, realizzando la liberazione o moksa. La questione pedagogicamente pregnante è quella di riflettere all’interno di tali polarità per definire chi possa essere la persona deputata ad insegnare una pratica psicofisiologicamente funzionale al benessere dell’individuo.

Consapevolezza storica

Definire lo yoga con pretesa di esaustività storica e metodologica non può essere il compito di un articolo breve, data la complessità dell’argomento e la serietà della ricerca che dal secolo scorso, parlando del mondo occidentale, ha caratterizzato tale indagine. Da Mircea Eliade, tra i maggiori storici delle religioni del secolo scorso, ad oggi il dibattito sempre aperto, riferito alle origini dello yoga, ha potuto usufruire di saperi provenienti dalla filologia, dalla storiografia e dall’antropologia culturale che chiariscono sempre come una definizione univoca e storicamente conclusiva della “scienza dell’unione” sia sostanzialmente da non porsi. Attraverso i secoli l’India non è stato quel paese vagheggiato da quella ingenua visione che potevano possedere alcuni membri della controcultura della seconda metà del ‘900 dove un improponibile isolamento storico avrebbe permesso lo svilupparsi di saperi esoterici originali ed immutati accessibili esclusivamente a pochi e meritevoli iniziati. L’India è stata terra di incontri e scontri culturali avvenuti in un territorio immenso che non ha mai avuto la pretesa di parlare di un solo yoga. Il profano che probabilmente considera lo yoga soprattutto come una pratica contorsionistica , meriterebbe oggi di essere informato che oltre all’effettiva esistenza di un modello ginnico all’interno della tradizione, lo yoga è oggi considerato una delle sei darsana ufficiali dell'India ovvero dei sistemi filosofici di comprensione della realtà [confronta: Lo yoga e le altre 5 darsana indiane]. Oltre all’aura di misticismo è oggi possibile sapere che tra il XIX ed il XX secolo sono esistiti intellettuali e maestri spirituali che parallelamente al loro impegno, che li ha resi noti in Occidente nel diffondere la saggezza indiana, stavano impegnandosi strenuamente a favore di Bharati Mata, la grande madre India che si accingeva ad affrancarsi dall’impero britannico. Tra questi lo swami Vivekananda e Aurobindo Goshe che chiunque abbia avuto accesso ad un percorso di formazione yoga ha potuto apprezzare ad un qualche livello (P. Proietti, 2019). Acquisita questa prima consapevolezza sul complesso panorama riferito all’origine e sviluppo di quello che nelle palestre viene chiamato yoga possibile iniziare ad impostare una riflessione sulla metodologia didattica dello yoga.

Per una didattica yoga

L’insieme delle discipline che definiscono ciò che può essere chiamato yoga  nasce da una matrice comune, il pensiero vedico indiano, che nato millenni or sono subisce assimilazioni e integrazioni proprie dei processi umani di acculturazione. Se è pertanto improbabile se non impossibile parlare oggi di uno yoga inteso come metodo univoco per lo sviluppo della persona è essenziale poter parlare degli yoga che possono far riferimento ad uno sviluppo successivo alla prima speculazione vedica per giungere quantomeno a identificare obiettivi educativi e metodologie di insegnamento – apprendimento degli yoga stessi. Si osserva pertanto uno yoga essenzialmente orientato alle pratiche posturali ed agli esercizi respiratori ovverosia hata yoga, vinyasa yoga e ashtanga yoga, che generalmente viene fatto risalire alle scuole tantriche ed alle opere a queste riferibili (su tutte l'Hata Yoga Pradipika, vedi quanto tradotto su questa rivista ), ed uno più incline ad evidenziare una speculazione filosofica chiamato jnana yoga ed uno di tipo mistico – devozionale, bhakti yoga e karma yoga (vedi in merito quanto pubblicato sulla Bhagavat Gita in questa rivista). Le scuole che offrono corsi e percorsi yoga possono distinguere in modo più o meno preciso tali approcci sebbene l’accento sulla dimensione fisico – posturale è pressoché sempre presente. Un punto che sicuramente mette d’accordo le differenti scuole è quello della ricerca del cambiamento individuale al fine di ottenere, al di là di più o meno discutibili riferimenti metafisici, una maggiore consapevolezza dei mutevoli stati della mente per giungere ad un acquietamento della stessa e quindi progredire verso la ricerca di un sé sostanzialmente immutabile. Altro elemento che accomuna le scuole yoga e la relativa didattica è la figura dell’insegnante. Non esiste tradizione yoga che non chieda a chi si accinga a rivestire tale ruolo di poter far riferimento ad un qualche lignaggio che sia garanzia di una formazione compiuta a partire da un maestro che possa in qualche modo far risalire i propri saperi ad una tradizione che sia (quasi) interamente indiana. Ne segue poi che i saperi dell’insegnante debbano essere stati appresi attraverso un lungo tirocinio dove accanto ad una elaborazione meramente intellettiva vi siano state esperienze di natura emozionale co-interpretate dallo stesso insegnante che conoscerà tali dimensioni individuandone cause ed effetti in una cornice simbolica condivisa.

Il corpo e la cura nello yoga

Il lavoro che richiede lo yoga quando anche non fosse dichiaratamente uno yoga squisitamente posturale non può astenersi da una relazione insegnante – allievo sul versante della dimensione affettiva. Il veicolo di tale relazione è inevitabilmente la sede dell’affettività e quindi il corpo (Gamelli, 2011). Il vissuto corporeo, si parlasse anche di condizioni mistico-estatiche, è soggetto ad una comprensione gradualmente più raffinata e necessariamente sempre più personalizzata al bisogno educativo dell’allievo. La competenza dell’istruttore  solamente in parte si inquadra nella riflessione pedagogica che coglie l’educazione intesa come trasmissione di contenuti, investendo più propriamente chi si trova ad insegnare del ruolo di mediatore di saperi di carattere iniziatico, qualitativamente esprimibili tramite il proprio vissuto corporeo. Insegnare lo yoga è quindi relazionarsi per riportare prima di tutto un’esperienza comunque sempre trasformativa secondo le direzioni di senso della cultura dove esso nacque ed attecchì con le annesse evoluzioni culturali di cui sopra. La relazione è inevitabilmente di cura, una cura pedagogicamente intesa come condizione esistenziale imprescindibile dell’essere umano. Quest’ultimo è ontologicamente soggetto ad aver bisogno di attenzione e di accudimento a partire dalla propria nascita (Mortari, 2006). Attraverso un suo sano sviluppo potrà divenire egli stesso in grado di essere un caregiver con sfumature più o meno evidenti in base alle inevitabili differenze che genere, società e ruoli storicamente incarnati possono richiedere. L’insegnante di yoga, interpretato per mezzo di una lettura pedagogica come questa, è tenuto a riconoscere la propria condizione di caregiver possibilmente evitando quella di pedante precettore.

Conclusioni

Le considerazioni che emergono dall’analisi dei saperi dello yoga in prospettiva pedagogica fanno emergere come nell’expertise dell’insegnante debbano essere presenti competenze di carattere storico – culturale, altre di tipo fisiologico ed altre ancora di tipo psicologico. I limiti di una simile riflessione possono essere riconosciuti nella limitatezza del presente testo e nella molteplicità delle peculiarità identificanti le diverse scuole yoga esistenti. Esse potrebbero senza dubbio essere aggiunte a quelle qui riconosciute come fondamentali. Cionondimeno, riconosciuta nella cura la componente essenziale della relazione educativa, come magistralmente indica la pedagogista Luigina Mortari, la prassi didattica dello yoga, da intendersi ragionevolmente come una pratica di cura, va espressa tramite la competenza comunicativa, quella tecnica ma anche e soprattutto quella dell’ascolto verso un allievo che accede alla palestra a partire da una condizione di bisogno sia esso di carattere fisico-motorio, psicoaffettivo o tutto questo assieme. 






NOTE

(1)  Al momento gli storici collocano la scrittura dei Veda tra il 2000 ed il 1000 a.C. Nel Rg Veda o raccolta degli inni appare per la prima volta il termine yoga inteso come impegno verso il contenere i propri vissuti per potersi rivolgersi a finalità religiose. Saranno i temi affrontati dal successivo periodo della speculazione indiana ad indicare lo yoga sul piano metodologico pur mantenendone la cornice soteriologica.



(2) La filosofa e pedagogista Luigina Mortari (Mantova, 1956) indaga da anni il connubio tra relazione e educazione inteso come intrinsecamente connesso con il tema della cura. L’argomento è ampiamente analizzato nel testo “La pratica dell’aver cura” indicato nei riferimenti del presente articolo.


Riferimenti

I. Gamelli, Pedagogia del corpo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011
L. Mortari, La pratica dell’aver cura, Bruno Mondadori, Milano, 2006
R. Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001
P. Proietti, Storia segreta dello Yoga, I Miti dello Yoga Moderno tra Scienza, Devozione e Ideologia, 2019

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