Gheranda Samhita: la più influente opera classica per lo yoga moderno

giugno 08, 2021


 

di Marco Sebastiani

La gheraṇḍa saṁhitā, घेरंडसंहिता in devanagari, è probabilmente l'opera antica in sanscrito più influente per una grande parte delle scuole di yoga moderne. Sembra infatti condizionare la forma che ha assunto oggi lo yoga sotto molti punti vista. Non rappresenta un punto di rottura con le opere precedenti, tutt'altro e costituisce, insieme a Hatha Yoga Pradipika e Shiva Samhita, uno dei tre pilastri dell'Hatha Yoga e dello yoga di ispirazione tantrica. 

E' intenzione di questa rivista proporre nei prossimi mesi una traduzione commentata di tutti e tre questi "gioielli del tantra". Hatha Yoga Pradipika e Shiva Samhita sono già state presentate ed è stata proposta una traduzione dei primi versi [confronta: Articoli su i testi tantrici]. Oggi presenteremo la Gheranda Samhita.

Dicevamo che il punto di vista espresso è convergente con gli altri testi tantrici, ma è anche molto interessante osservare i cambiamenti introdotti e le idee che vengono perfettamente integrate rispetto ai testi classici più antichi, a cominciare dai Sutra sullo Yoga di Patanjali.

L'opera ha un carattere enciclopedico, è un vero e proprio manuale dello yoga, nel senso che ogni singola tecnica è descritta in dettaglio nella sua esecuzione. Il testo è conosciuta attraverso un numero cospicuo di manoscritti antichi, quattordici in tutto, di pregio maggiore o minore, ma senza differenze significative.
La sua stesura viene comunemente datata intorno al 1600-1700 e si basa su di un dialogo tra Gheranda e Chandakapali, il titolo significa infatti "La raccolta di Gheranda", sottintendendo "di versi". Gheranda non compare in nessun altro testo sanscrito e anche il significato del nome non sembra rimandare a nulla di conosciuto. Al contrario Chandakapali significa "il fiero portatore del teschio"e rimanda sicuramente alla simbologia di Shiva o a qualche maestro che ne aveva assunto il titolo, in particolare rimanda alle caratteristiche di Shiva quando presente tra le pire funebri luoghi di pratica anche per alcune scuole di yoga. L'autore dichiara altresì in diverse circostanze di essere devoto a Vishnu, ma, conoscendo il polimorfismo e il sostanziale monoteismo delle divinità induiste, ciò non ci stupisce.
Tra tutti i maggiori testi tantrici è probabilmente il più tardo. I maniaci dell'antichità, per i quali un testo o un sapere acquisice tanto maggior valore quanto più è fatta risalire alla notte dei tempi, o al contrario i sostenitori della modernità dello yoga attualmente praticato in India e nel mondo, ricavano da questa datazione una serie interminabile di congetture, in verità poco interessanti secondo chi scrive. Ci limiteremo ad evidenziare, sia in questa sede che nelle succcessive analisi del testo, come la Gheranda Samhita raccolga incontrovertibilmente una tradizione molto più antica che affonda le sue radici in Patanjali, ma ancora prima nei vedanta, e come, al contrario presenti un'evoluzione ed un superamento di alcuni aspetti della tradizione tantrica che portano a considerarlo più moderno, tra i quali proprio il recupero di alcuni concetti vedici.

Il testo è organizzato in sette capitoli e contiene 351 versi o shloka. Lo yoga che qui viene proposto è suddiviso in sette membra, differenziandolo quindi sia dagli otto di Patanjali che dai quattro della Pradipika o dai sei della Goraksha Samhita e dei testi tantrici più antichi. Lo yoga della Gheranda Samhita è definito dal suo autore ghatastha yoga o ghata yoga, quindi lo yoga del recipiente o del vascello volendo significare che l'accento è posto sul corpo e sulla persona. Il percorso si svolge attraverso il corpo e la mente per giungere allo spirito individuale atman e infine a quello universale brahman, secondo il dettame classico del tantrismo secondo il quale ciò che avviene nel particolare si rispecchia nell'universale oppure secondo l'assunto che l'universo e il brahman si ritrovano nell'individuo. Il corpo e la mente sono raffigurati quindi come vasi o vascelli che trasportano e servono l'anima, atman e purusha. Questo è uno dei motivi principali per il quale si ritiene che questa opera influenzi enormemente le moderne scuole di yoga, anche tradizionali o tradizionaliste di Hatha Yoga, Ashtanga Yoga, eccetera: il percorso inizia a partire da una pratica fisica per poi integrarsi e progredire sino agli aspetti spirituali e al samadhi, il ricongiungimento con lo spirito universale. L'obiettivo è quindi lo stesso di  Patanjali e della quasi totalità delle opere di yoga tradizionali, ma il percorso avviene in un modo leggermente differente, seppure integrando quasi tutti gli aspetti tradizionali, ovvero della tradizione che precedette Gheranda. Come abbiamo già detto in precedenti articoli, possiamo dividere, seppure artificiosamente, le scuole di yoga moderne in due grandi gruppi. Premesso che i fini e i mezzi sono comunque simili e paragonabili, il primo, che possiamo chiamare Raja Yoga o Kriya Yoga o in tantissimi altri modi, è più focalizzato sugli aspetti meditativi e religiosi della pratica. Il secondo che possiamo definire Hatha Yoga, Vinyasa Krama, eccetera, è incentrato maggiormente su di una pratica che inizia dal corpo. Queste due scuole entrano spesso in contrasto ideologico, seppure la seconda, ad oggi, è quella che sia in India che nel mondo conta maggiori seguaci. La Gheranda Samhita è sicuramente uno dei testi più influenti per questo secondo gruppo:

Così come, imparando l'alfabeto ugnuno, attraverso la pratica, può impadronirsi di tutte le scienze, così, praticando per prima cosa l'esercizio (fisico), ciascuno può acquistare la conoscenza della verità.
Gheranda Samhita libro I verso 5

Il mantra Ajapa Gayatri, ovvero il mantra So Ham, oggi molto noto e praticato, è definito per la prima volta in questa opera, come mantra inconsapevole recitato da tutti gli esseri in corrispondenza di inspirazione ed espirazione. Trae chiaramente origine da un illustre verso vedico della Isha Upanishad, composta verso il 1000 a.C.:

पूषन्नेकर्षे यम सूर्य प्राजापत्य व्यूह रश्मीन् समूह तेजः ।
यत्ते रूपं कल्याणतमं तत्ते पश्यामि योऽसावसौ पुरुषः सोऽहमस्मि ॥ १६॥
16. pūṣann ekarṣe yama sūrya prājāpatya vyūha raśmīn samūha tejaḥ,
yat te rūpaṁ kalyāṇatamaṁ tat te paśyāmi yo sāv asau puruṣaḥ, so’ham asmi

O custode, o unico veggente, o ordinatore, o sole illuminante, oh potenza del padre delle creature, schiera i tuoi raggi, attira insieme la tua luce;
La luce che è la forma più benedetta tra tutte, io in te io contemplo. Lo spirito è qua e là e Lui sono io.

सो ऽहम् so 'ham, io sono quello, o io sono lui, a sottolineare l'unione tra spirito individuale, atman e spirito universale brahman o tra il praticante e la divinità, ma il concetto è il medesimo.

I sette capitoli della Gheranda Samhita sono:

  1.     shatkarma (purificazione)
  2.     āsana (posizioni)
  3.     mudrā (sigilli, gesti)
  4.     pratyahara (ritiro dei sensi, controllo della mente)
  5.     prāṇāyāma (controllo del respiro)
  6.     dhyāna (meditazione)
  7.     samādhi (estasi, ricongiungimento)

 I contorni di questi gruppi in cui sono descritti le pratiche non sono alle volte rigidi o chiarissimi, all'interno delle shatkarma sono ad esempio trattate anche tecniche di respirazione, così come ad asana e mudra appartengono alle volte esercizi difficilmente distinguibili tra loro o definiti nella categoria opposta in altre opere.
Una peculiarità rispetto alle altre opere sembrerebbe essere la collocazione del pratyahara, la concentrazione o il ritiro dei sensi che dir si voglia, prima del pranayama. Questo sfasamento risulta particolarmente incomprensibile a chi attribuisce una chiave gerarchica, di crescente evoluzione o imbrigliando in una eccessiva settorializzazione i differenti rami della pratica, considerati come gradini strettamente successivi. Chi al contrario ritiene che le differenti membra siano integrate e spesso praticate simultaneamente non rimarrà sorpeso da questo ordine. Per praticare gli esercizi di respirazione ci astrarremo dai sensi e man mano che praticheremo gli esercizi di respirazione avremo più facilità nel rivolgere i sensi verso l'interno in una sinergia non esclusiva.

Vedremo come nel primo capitolo rientrino pratiche di purificazione che sono molto attuali e comuni, ma al contempo anche un esercizio di pulizia dell'intestino che appare al moderno lettore assolutamente stravagante. Ma non anticipiamo i tempi.

 


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