Shavasana, la posizione del cadavere, è probabilmente la posizione più nota di tutto lo yoga o quantomeno la più praticata. Abbiamo visto come fin dai testi classici antichi, l'Hata Yoga Pradipika ad esempio [crf "Hata Yoga Pradipika: le posizioni fondamentali (HYP.I:19-32) " ], viene considerata la posizione che conclude la parte dedicata alle asana e precede la pratica del pranayama, controllo dell'energia, della concentrazione, dharana e della meditazione, dhyana. Il corpo giace completamente disteso e abbandonato sulla schiena, sciogliendo ogni eventuale rigidità residua e la mente calma e vigile si prepara. I significati simbolici sono moltissimi, non è un caso che venga richiamato il termine shava, in sanscrito cadavere, e non, ad esempio, semplicemente la posizione supina o del dormiente o qualcosa di simile. Il richiamo al cadavere lascia sempre un po' stupiti o turbati noi Occidentali, ma la morte e la rinascita sono una metafora onnipresente in tutti i percorsi spirituali dell'Estremo Oriente e dell'India in particolare. Nella tradizione dello yoga la morte e la rinascita sono la premessa di un nuovo domani. Moltissime sono le scuole di yoga che svolgono un rito di iniziazione nel quale viene simulata la morte dell'iniziato e la sua rinascita. In quasi tutti gli ordini dei sadu, i monaci asceti, rinuciatari, dediti allo yoga, durante l'iniziazione, si simula la morte, la cremazione del corpo e la rinascita alla vita spirituale. Spesso il discepolo salta infatti nel fuoco. Per questo motivo al sopraggiungere della morte fisica, quasi universalmente, i sadu non vengono cremati come tutti gli altri indiani, perchè già lo sono stati, ma le loro spoglie sono abbandonate in un fiume sacro o inumate.
Ma veniamo alla posizione dello yoga, a shavasana, e ad uno dei più importanti miti che questa posizione richiama nell'immaginario collettivo, come conclusione della pratica dello yoga, non dimenticando che ogni singola pratica in qualche modo rappresenta anche la totalità del percorso.