Yoga: vegetariani VS onnivori

agosto 27, 2018





di Maria Sabatini e Mario Caruso

Per sviscerare il tema del vegetarianesimo nel mondo dello yoga, in tutta la sua irruenza, abbiamo deciso di lasciare la parola a un sostenitore per ciascuna fazione, chiedendogli di porsi in aperta contrapposizione con la sponda opposta, senza esclusioni di colpi. Concedeteci di affrontare l'argomento anche con una certa ironia, quel "contro" nel titolo non vuole avere nulla di ostile se non la licenza concessa ad ironizzare sulle posizioni altrui.  Che lo scontro, dialettico, abbia inizio... 

Fazione 1. Chi pratica yoga è Vegetariano
Maria Sabatini


Il dibattito intorno al tema del vegetarianesimo è stato sempre molto acceso nel mondo dello yoga. Ma è un dibattito sterile: secondo la tradizione nella quale lo yoga si è originato chi pratica yoga deve essere vegetariano. Punto. Uno yogi che mangi carne può essere un ottimo yogi, come un prete che bestemmi tutto il giorno può essere un ottimo prete. Può esserlo, ma qualcuno potrebbe ravvisare delle contraddizioni. Tutti sappiamo che il testo chiave dello yoga sono gli Yoga Sutra di Patanjali, scritti intorno al 400 AC [cfr Patanjali Yoga Sutra]. L'autore elenca otto passi fondamentali che guidano il praticante verso l'obiettivo ultimo. Il primo passo di questo percorso sono cinque principi etici, o yama, da rispettare per iniziare la via dello yoga. Il primo di questi princìpi è ahimsa.  Letteralmente il termine significa a=non, himsa= nuocere o uccidere. Ahimsa implica la non violenza verso tutti gli esseri, non violenza materiale, mentale  e spirituale. Il termine ahimsa è proprio in relazione alla violenza sugli animali, perchè è riferita inizialmente all'uccisione nel sacrificio vedico, per poi essere estesa a tutti gli ambiti, come egregiamente spiegato da Wendy Doniger nel suo "Gli Indù", ma anche da Mircea Eliade (Enciclopedia delle religioni vol.9 Induismo) e altri. Deborah Adele, in "Yamas e Niyamas", arriva a sostenere che nel pensiero Orientale la non violenza sia talmente importante da costituire il nucleo essenziale e la fondazione di qualsiasi filosofia e pratica yoga e che se gli yogin non fondano la loro vita nella non violenza, qualsiasi altra cosa sarà precaria (pg.21).     
Questo è esattamente il concetto assunto a principio dal Mahatma Gandhi, estimatore degli Yoga Sutra. Uccidere, imporre sofferenze o essere partecipi dell'uccisione o della sofferenza di qualsiasi essere ha delle conseguenze a cascata sul mondo e su di noi, è contrario alla purificazione, e il karma che ne deriva, ovvero le azioni complessive che si scatenano, sono negative sotto ogni aspetto. Per Patanjali la non violenza è una condizione irrinunciabile anche solo per iniziare la via dello yoga. E’ il primo gradino del primo passo. Ognuno è artefice del proprio destino e purtroppo a volte anche del destino degli altri esseri. L'ignoranza è proprio considerare piacere ciò che invece arreca dolore, saziarsi con la violenza sugli altri esseri. E' violenza ogni azione in cui si vuole nuocere, in cui si esprime la specifica intenzione. Se la colpa deriva da un'azione fatta senza volontà, non è una colpa. Gli animali non hanno colpe, l'ignorante si, perché sa di nuocere.



Il tema del vegetarianesimo non è in realtà collegato direttamente con l'induismo, una percentuale cospicua di Indù mangia carne, magari non di vacca, ma anche chi non la mangia, spesso mangia pesce o animali considerati poco evoluti come granchi o gamberi. Il vegetarianesimo non è strettamente legato al pensiero indù, seppure gli uomini possano reincarnarsi negli animali, ma è invece un tema strettamente connesso con lo yoga, chi intraprende il percorso dello yoga, secondo la tradizione, non mangia carne perchè è sulla via della non violenza e della purificazione. Possiamo anche spogliare lo yoga di ogni aspetto tradizionale, di ogni termine sanscrito, di ogni allusione alla spiritualità indiana, ma per favore non chiamiamolo "yoga", un termine sanscrito e induista, chiamiamolo pilates o ginnastica posturale. Ci mettiamo lì, magari con le palline, e facciamo fitness.

Vorrei sapere chi tra i praticanti di yoga mangerebbe carne se dovesse sparare un chiodo in testa a una mucca e poi squartarla, con le sue mani o tagliare la gola ad un maiale e dissanguarlo. Se nessuno lo farebbe, allora mangia carne solamente per ipocrisia, perchè delega l'uccisione a qualcun altro. E' responsabile anche del cattivo karma di colui che macella. Senza contare le condizioni spaventose nelle quali sono tenuti gli animali in allevamento. Mangiando carne contribuiamo ad accumulare violenza nel mondo, sofferenza e cattivo karma. Le vacche e gli altri animali non sono differenti da quelli che teniamo dentro casa e dei quali ci farebbe orrore nutrirci, come cani e gatti.

Spesso sento obiettare che mangiare carne sia per l'uomo naturale. Bene, anche uccidere il più debole è naturale, anche stuprare le femmine per perpetrare i propri geni è naturale; tra alcune specie è naturale lo sterminio dei propri fratelli per garantirsi la sopravvivenza. Lo stato di natura è violento, selvaggio e ingiusto, l'uomo ha la consapevolezza e si pone sopra di esso. L'uomo è responsabile delle proprie azioni, o dovrebbe esserlo, l'animale allo stato naturale no.
Per le ragioni legate alla volontà del nuocere, gli yogin non andranno tuttavia in giro con la mascherina davanti alla bocca per non inspirare i microrganismi, come fanno alcuni sacerdoti gianisti, oppure non denigreranno l'agricoltura perché può comportare la morte di alcuni insetti. E ancora, per analizzare alcune obiezioni comuni nella dialettica, ma forse un po' sciocche, anche se mangiare frutti comportasse veramente la sofferenza delle piante, non nutrirsi sarebbe considerabile violenza contro se stessi e quindi un male peggiore. L’unico caso in cui sia possibile utilizzare la violenza, e in realtà i poemi e i miti induisti sono pieni di episodi nei quali i virtuosi protagonisti uccidono, rapiscono o combattono, è però per far cessare un male peggiore.
Il Dalai Lama ha dichiarato che una volta, in pericolo di vita, ha mangiato una bistecca come ricostituente, su esortazione del proprio medico. In questi dettagli campiamo la grandezza della persona, estranea a qualsiasi fanatismo o preclusione. Nella quotidianità però, essere complici dell'uccisione di milioni di animali, non scongiura nessun male maggiore e nel XXI secolo sembra veramente una barbarie.

L'altro giorno ho avuto una conversazione che mi ha molto colpito, una persona  mi ha detto: "farei qualsiasi cosa per avere la tua flessibilità fisica". Quindi gli ho consigliato di passare ad una dieta vegetariana, ritengo infatti che i cristalli di acido urico che si depositano principalmente sui tendini e sulle articolazioni provengano in primo luogo dalla carne e generino una rigidità generalizzata. I primi effetti di quando si diventa vegetariani sono infatti la perdita di peso e l'aumento considerevole della flessibilità, a meno di non sbagliare completamente dieta. Il presunto praticante di yoga obiettava che però era troppo scomodo eliminare affettati, panini, bistecche e le pastasciutte preferite. Ma era stato lui a dire che avrebbe fatto qualsiasi cosa, poi quando sarebbe bastata una semplice regola alimentare obietta che è scomodo. Paradossi della mente. Pattabhi Jois diceva spesso, citando l'Hata Yoga Pradipika, che lo yoga è per tutti, per il giovane e per il vecchio, per il sano e per il malato, ma solamente il pigro non può riuscire nello yoga.

Un argomento che alle volte sento citare è che anche le piante soffrono. Cercherò di rispondere senza insultare nessuno, per quanto l'affermazione possa in verità sembrare idiota. Le piante non sono esseri senzienti,non sono dotate di mente o spirito e quindi nel potarle, sradicarle o mangiarle non si commette nessun atto di violenza. Per organismi molto semplici al confine tra regno animale e vegetale, batteri o simili, il discorso è a mio giudizio simile.
Da questo discorso un po' sterile, possiamo però ricavare anche un altro insegnamento: bisognerebbe anche stare attenti alla catena produttiva degli alimenti, così come di tutte le cose delle quali ci circondiamo e cercare di escludere quelle cose che arrivano a noi generando sofferenza: sfruttamento dei lavoratori, devastazione dell'ambiente, etc. Dovremmo e potremmo consumare, per quanto in nostra facoltà, in modo consapevole. Ma questo è forse un discorso più massimalista. Introdurre nel nostro corpo cibo proveniente da uccisioni, banalmente ci contamina.

Ho sostenuto volutamente con veemenza la fazione dei vegetariani, e mi sono divertita nel farlo. Nella realtà credo che ognuno debba seguire la strada che più gli si confà e comunque sia libero di fare le proprie scelte senza essere giudicato. Anche io, oltre a pestare le formiche quando cammino, mangio alle volte le ostriche, perchè non le ritengo sostanzialmente differenti dalle piante, ma potrei per questo essere accusata di specismo [differenziare il proprio comportamento con le diverse specie di animali NdR] e comunque, se sentissi che non fosse una dieta adatta a me, probabilmente riconsidererei le mie decisioni. Ho inoltre amici vegani che mi contestano con argomenti simili, infatti non bevo il latte, ma mangio il formaggio di pecora, e tante altre contraddizioni. Onestamente non ho tabù e sono allergica ai dogmi, sarei l'ultima a fare una campagna pro vegetarianesimo. 

Fazione 2. Lo yogi può essere onnivoro
Mario Caruso


Non è un compito facile sostenere la fazione dei non vegetariani nel mondo dello yoga. Lo farò comunque nel modo più difficile, appellandomi alla tradizione. Affermare: "vabbhè ma noi non siamo mica asceti in una caverna" oppure "lo yoga è per tutti, pace, pace, pace..." sarebbe troppo facile e anche un po' riduttivo.

Il concetto che universalmente viene fatto coincidere con l'imposizione di una dieta vegetariana per chi pratica yoga è aimsha, la non violenza, ma vedremo che questa è un'impostura. La Mahabarata è un poema epico molto vasto ed un capitolo al suo interno è costituito dalla Bagavat Gita. Questo capitolo tratta della guerra tra due fazioni di prìncipi, una fazione è quella dei virtuosi Pandava tra le cui fila si schiera Krishna come auriga di Arjuna e i due intessono una conversazione filosofica che costituisce la traccia dell'opera. Trattandosi di una guerra, la conversazione verte spesso sul valore della violenza e sul significato delle proprie azioni. La Bagavat Gita è considerato un pilastro dello yoga, in particolare del Bhakti Yoga, lo yoga devozionale.

Nelle precedenti motivazioni ho visto citato Gandhi, più o meno a proposito, utilizzeremo quindi proprio il commentario del Mahatma alla Gita. I due interlocutori si rivolgono reciprocamente con molti nomi, ma si tratta sempre di Krishna e Arjuna.

Ad Arjuna, invaso da un sentimento di pietà, con gli occhi pieni di lacrime e affranto dallo scoraggiamento, Il Beato Signore Krishna disse: " Da dove viene questa tua debolezza nel momento della difficoltà? Essa è indegna di un Ariano, non viene dal cielo, o Arjuna, e non conduce alla gloria.
Non cedere a questo vile sentimento, o figlio di Pritha, non è degno di te: scaccia la vergognosa debolezza e sorgi, o Parantapa! "
Arjuna disse: " Come potrò io, combattere sul campo di battaglia, trafiggere con frecce Bhishma e Drona, così degni di rispetto e di venerazione, o Arisudana?
Meglio vivere elemosinando che uccidere questi venerandi maestri. Essi sono i miei maggiori; uccidendoli, godrei piaceri e ricchezze macchiati di sangue.
Non so nemmeno se sia preferibile vincerli od esser da loro vinti; i figli di Dhritarashtra sono davanti a noi, schierati in ordine di battaglia, sono essi che
dobbiamo uccidere; ma la loro morte ci farà odiare la vita. Una debolezza sentimentale ha offuscato la mia vera natura; ho perduto il senso del dovere. Io Ti domando: dimmi con chiarezza quale sia la cosa migliore, dimmelo con decisione. Sono il Tuo discepolo. Ti prego, istruiscimi, in Te prendo rifugio.
Davvero non vedo nulla che possa allontanare da me l'angoscia che offusca i miei sensi, neppure se avessi su questa terra un regno senza rivali o il dominio sugli dèi".

A lui, che vedeva così scoraggiato fra i due eserciti, Sri Krishna, quasi
sorridendo, disse queste parole: "o Bharata , tu piangi su uomini per i quali non ci si deve affliggere, e tuttavia le tue parole sono quelle della saggezza. I veri saggi non piangono né per i vivi né per i morti. Mai vi è stato tempo in cui Io non esistevo, né tu né questi re di uomini e noi tutti mai cesseremo d'essere nell'avvenire. L'anima, dopo che in questo corpo mortale ha vissuto la fanciullezza, la giovinezza e la vecchiaia, assume un altro corpo. L'uomo che è in pace non ha motivo di turbarsene ".


Gandhi commenta in questo modo:

Shankaracharya ha detto che chi persegue la moksha, la liberazione, dovrebbe avere molta più  pazienza di chi volesse vuotare il mare, goccia a goccia, con l'aiuto di un filo d'erba. La stessa pazienza si dovrebbe avere per attuare l'ideale della perfetta non violenza.
È impossibile realizzare l'ahimsa totalmente mentre abbiamo questo corpo. Ecco perché la moksha è posta come meta suprema della vita.
La violenza è inevitabile. Come è inevitabile che gli occhi ammicchino e le unghie crescano, così è ineluttabile la violenza, in una forma o nell'altra.
Il male è parte integrante dell'azione, dirà la Gita in seguito.
La Gita non insegna il sentiero dell'azione né quello della conoscenza o della devozione. Non conta in che misura si coltivi la vairagya, la rinuncia, o quanto sia diligente nel compiere azioni buone o in quale misura pratichi la bhakti o devozione. Finché non si è raggiunta la Conoscenza non ci si libererà dal senso dell'Io' e del 'mio'. Può ottenere l'auto realizzazione solo chi si è liberato da questo attaccamento all'ego; essa è possibile solo in chi è riuscito a far questo.
Il significato della Gita, a livello del nostro senso comune, è che una volta che ci siamo buttati in una lotta dobbiamo andare avanti e combattere. Non si deve lasciare a metà il compito che si è intrapreso.

Se proprio il Mahatma Gandhi dice che è impossibile realizzare la non violenza mentre siamo di questo mondo, come pensiamo noi di farci garanti di aimsha come regola alimentare? Le violenze della specie più evoluta verso quelle meno evolute sono inevitabili e necessarie all'alimentazione umana. I veri saggi non piangono i morti e sanno che l'anima si reincarna, quindi non si turbano per una morte.

Il vero passo in avanti nell'evoluzione personale è il non attaccamento al senso dell'io, all'ego, quindi agire in modo distaccato dalle proprie azioni e dalle conseguenze di esse. Troppo spesso i vegetariani e ancora di più i vegani, hanno un senso di superiorità sprezzante, mentre dovrebbero imparare dai loro errori di valutazione. Una volta che ci siamo buttati a pieno nel percorso della vita, andiamo avanti, viviamola a pieno, una regola alimentare o l'altra non farà  differenza. "Non si deve lasciare a metà il compito che si è intrapreso", altrimenti ci chiameremmo fuori dalla vita relegandoci ad un percorso di ascesi e pura meditazione. La scelta vegetariana è dettata da una debolezza nel momento di difficoltà nel quale percepiamo un'empatia con gli animali che non dovrebbe essere nostra.

Yogi Baba Prem sostiene che  ahimsa, inteso come pacifismo, sia un'interpretazione moderna, in parte rilanciata dallo scontro tra Indiani e Inglesi, in parte rivalutata dalla new age californiana. Nei Veda questo termine avrebbe secondo lui un altro significato, principalmente di non violenza verso se stessi. L'applicazione pratica di ahimsa inizia con il sé. Imparare a superare l'invidia, la rabbia, l'emotività e le emozioni simili è il passo più importante verso ahimsa, riconoscendo l'effetto dei pensieri sul sé fisico e mentale. La compassione verso il prossimo e verso gli animali è una forzatura.

Infine, come ultimo argomento, ma sicuramente non ultimo come importanza, vorrei ricorda come la via dello yoga sia una via di sperimentazione che non bisogna seguire in modo dogmatico. Anche tra le diverse scuole di yoga tradizionali, pur avendo tutte come obiettivo l'illuminazione finale, le pratiche sono molto differenti. Ad esempio tra i sadhu, i monaci rinunciatari indiani, quasi tutti praticano una qualche forma di yoga, proprio nel significato di percorso di ricerca per arrivare al ricongiungimento con lo spirito universale, ma la pratica cambia in modo sostanziale tra le varie congreghe. A questo proposito ricorderò i sadhu della tradizione Aghori, dei quali si è parlato fin troppo perchè rappresentano spesso un'attrazione eccentrica, ma che hanno una regola di vita completamente contraria a tutte le altre vie tradizionali. Il loro percorso è proprio in contrasto con la tradizione. Loro mangiano carne e hanno mille altri atteggiamenti contrari all'ortodossia yogica. Ma con tutto questo discorso vorrei proprio sottolineare che un'ortodossia dello yoga non esiste, nei millenni ci sono state molte scuole, ognuna con le proprie regole, ma tutte consapevoli di poter sperimentare, che ogni mezzo è valido se aiuta a raggiungere il comune obiettivo. Quindi anche noi, certi di essere aderenti alla tradizione antica, potremmo sperimentare se per noi sia il caso di avere una dieta vegetariana oppure no.  A patto di essere onnivori consapevolmente e non per pigrizia è quindi ampiamente lecito non essere vegetariani, anche secondo una certa tradizione yoga, probabilmente minoritaria, ma lecita.
Semmai è contrario alla tradizione dello yoga proprio il dogmatismo, il dire "questo è il vero yoga e voi sbagliate", il credere di essere nel giusto, questa presupponenza.

Ho cercato di essere enfatico nel mio discorso, oltre al mio naturale carattere, la mia opinione è in realtà molto più sfumata ed anche io per ampi periodi della mia vita ho seguito una dieta vegetariana. Auguro a tutti i lettori una buona pratica e buone vacanze! con l'hamburger oppure l'insalata.



Potrebbe anche piacerti:

0 commenti

Yoga Magazine Italia 2017 © - Tutti i Diritti Riservati