[NEW] Il mito dietro lo yoga: Natarajasana, Shiva Danzante

ottobre 03, 2025


 di Marco Sebastiani 

 Introduzione


La posizione Natarājāsana (La Posizione del Signore della Danza) si configura come una delle manifestazioni più significative e visivamente evocative del nesso intrinseco tra la pratica dello yoga moderno e il vasto universo della mitologia induista. Essa non è semplicemente un omaggio posturale; è l'incarnazione cinetica e dinamica di Śiva Natarāja, figura centrale dello Śivaismo e del pantheon indiano, venerato come il Signore della Danza Cosmica. La sua diffusione nelle scuole di yoga occidentali e la sua presenza iconografica in contesti persino scientifici (come vedremo, il CERN) testimoniano la potenza transculturale di questo archetipo. L'obiettivo di questa analisi è esplorare le profonde stratificazioni storiche, teologiche e culturali che hanno reso il simbolo di Natarāja un fenomeno globale, dalla sua origine nel Śaiva Siddhānta fino alla sua recontestualizzazione come āsana del Ventesimo secolo.


Śiva


Sebbene nell'Induismo più generale Śiva sia spesso identificato come il Distruttore, complemento di Brahmā (Creatore) e Viṣṇu (Conservatore) all'interno della Trimūrti , nel contesto dello Śivaismo, e in particolare nella tradizione filosofica e teologica del Śaiva Siddhānta, Egli è venerato come l'Essere Supremo (Pati). Questa entità trascendente è la causa operativa del cosmo, ed è attraverso i Suoi atti che   Māyā (materia o Prakṛti) si evolve. Natarāja, in questa prospettiva, non è ridotto al ruolo di mero distruttore cosmico, ma rappresenta l'energia eterna (Śakti) in movimento e l'atto divino onnicomprensivo che regola l'intera esistenza.

La Danza Cosmica di Śiva, nota come Tāṇḍava, è l'espressione allegorica della dottrina centrale del Śaiva Siddhānta: i Pañcakṛtya (Cinque Atti Divini). Questi atti non solo definiscono il ciclo cosmico, ma anche il processo di salvezza per l'anima individuale (paśu), che è imprigionata dai tre legami (pāśa), quali l'ego (aṇava), l'azione (karma) e l'illusione (māyā).

Il nucleo della dottrina è rappresentato dalla seguente ripartizione delle azioni divine, chiaramente manifestate nell'iconografia di Natarāja:

Table Title
Atto (Sanscrito)TraslitterazioneSignificato TeologicoCorrispondenza Iconografica (Natarāja)
सृष्टिSṛṣṭiCreazione, Emissione

Tamburo (Ḍamaru) che scandisce il ritmo primigenio e il suono universale (OM) 1

स्थितिSthitiMantenimento, Conservazione

Mano destra inferiore in Abhaya Mudrā (gesto di non-paura/protezione) 

संहारSaṃhāraDistruzione, Riassorbimento

Fiamma (Agni) nella mano sinistra superiore (il fuoco che consuma il cosmo) 

तिरोभावTirobhāvaOccultamento, Illusione (Māyā)

Piede destro che schiaccia il nano Apasmāra (Ignoranza) 

अनुग्रहAnugrahaGrazia, Liberazione

Piede sinistro sollevato, indicato dalla mano sinistra inferiore (gajahasta) (il rifugio finale) 

La teologia Śaiva sostiene che Śiva non è affetto o vincolato da questo processo, sebbene ne sia la causa efficiente. La creazione e la distruzione sono, quindi, intrinsecamente legate alla liberazione dell'anima, la quale avviene solo attraverso la Sua grazia (Anugraha).
 

Il Tāṇḍava: Dialettica tra Distruzione e Beatitudine


La danza Tāṇḍava non è un'azione monolitica. Il termine stesso deriva da Taṇḍu, l'assistente di Śiva che trasmise le tecniche di danza (karaṇa e angahāra) a Bharata, autore del Nāṭya Śāstra.  Tradizionalmente, si distinguono almeno due tipi principali di Tāṇḍava (sebbene alcune fonti ne elenchino da sette a sedici).
Il Rudra Tāṇḍava (o Raudra Tāṇḍava) è la danza violenta, eseguita nell'ira, associata alla distruzione cosmica (Saṃhāra).

Al contrario, l' Ānanda Tāṇḍava è la Danza della Beatitudine (o della Gioia), la forma più nota e celebrata nell'iconografia Chola, eseguita nel tempio di Chidambaram. Questa distinzione è cruciale, poiché l'icona di Natarāja incarna l'equilibrio tra questi opposti: la distruzione cosmica non è vista come un male, ma come l'atto necessario per il rinnovamento e la ricreazione, garantendo il ritmo ciclico dell'esistenza.

La figura di Natarāja rappresenta la perfetta espressione Śaiva della non-dualità, dove le opposizioni eterne—Creazione e Distruzione, Violenza e Beatitudine—non sono risolte in una posizione neutra, ma coesistono come aspetti irriducibili del mistero divino. Il sorriso di Śiva, anche nel caos, è emblematico: simboleggia il dominio assoluto del Supremo Yogin che, pur essendo l'autore del movimento cosmico, rimane sereno e distaccato, non influenzato dal processo.  L'esperienza del numinoso, in questa visione, risiede proprio in questo paradosso magnificamente manifestato.




I Bronzi Chola e Chidambaram


La forma classica di Śiva Natarāja, riconosciuta a livello mondiale, si cristallizzò nel Tamil Nadu durante il periodo della dinastia Chola (circa IX-XIII secolo d.C.). Questi bronzi, spesso realizzati in lega di rame (pancha loha) tramite la tecnica della cera persa (cire-perdue), sono considerati tra le più alte espressioni dell'arte religiosa indiana.

Il centro cultuale primario associato a Natarāja è il tempio di Chidambaram, considerato la dimora terrena di Śiva e il luogo dove Egli eseguì l'Ānanda Tāṇḍava. Il patrocinio regale dei Chola a questo tempio permise di omogeneizzare e diffondere questa iconografia, la cui funzione non era solo spirituale ma anche politica: il Natarāja divenne un simbolo del potere e della sovranità della dinastia, congiungendo l'autorità divina a quella temporale.  La rappresentazione scultorea è quindi un codice teologico visivo, una murti (forma vivente della divinità), che riflette gli atti di potere e di grazia.

Gli Attributi


Ogni elemento della rappresentazione di Natarāja è un segno denso di significato teologico, riflettendo uno dei Pañcakṛtya o un principio cosmico.

    Il Cerchio di Fiamme (Tiruvaśi): Natarāja danza all'interno di un anello di dardi infuocati.1 Questo tiruvaśi (o prabhamandala) simboleggia il fuoco cosmico che tutto crea e tutto consuma, rappresentando l'energia vitale, il ciclo del saṃsāra (ciclo di rinascite).1 Alcune interpretazioni associano il cerchio a Prakṛti (la natura femminile), animata da Śiva (Puruṣa, lo spirito maschile).  La base, spesso un doppio loto, rappresenta la purezza che si innalza dal fango (il mondo materiale).
 

Ḍamaru e Agni: Le mani superiori bilanciano la creazione e la distruzione. La prima mano destra regge il ḍamaru, un piccolo tamburo a clessidra, simbolo del tempo e del ritmo, che genera il suono primigenio (sṛṣṭi).1 La prima mano sinistra contiene la fiamma di Agni, il fuoco sacro, che possiede la forza distruttiva e purificatrice (saṃhāra).

Abhaya Mudrā e Gajahasta: La seconda mano destra è ritratta in Abhaya Mudrā (gesto di "non paura"), che conferisce protezione e assicura il mantenimento (sthiti).1 La seconda mano sinistra è protesa attraverso il corpo in gajahasta (o daṇḍahasta, "mano d'elefante") e indica il piede sinistro sollevato. 1 Questo gesto indica la Grazia ( Anugraha), il luogo di rifugio per l'anima in cerca di salvezza.

Apasmāra Puruṣa: Śiva danza in piedi su un nano demoniaco, Apasmāra, o avidyā. Questa figura rappresenta l'ignoranza umana, la tendenza a identificarsi con l'ego e la māyā che portano fuori strada. 1 Calpestare il demone è l'atto di occultamento ( Tirobhāva), necessario per sconfiggere l'illusione e permettere la liberazione.

    Volto e Capelli: Il volto di Śiva, pur in mezzo a forze terribili, è sereno e sorridente, simboleggiando la padronanza sul caos.1 Il terzo occhio, talvolta leggermente aperto, conferisce il potere distruttivo della danza e, per l'adepto, l'occhio introspettivo che permette di vedere la realtà trascendente.1 I lunghi capelli, che ondeggiano liberamente (indicando la natura selvaggia ed estatica), contengono la dea Ganga.
 

La Ricezione Occidentale

L'icona di Natarāja ha acquisito una statura globale grazie all'opera pionieristica di Ananda Kentish Coomaraswamy, in particolare con il suo saggio The Dance of Siva (1912/1918). Coomaraswamy ha fornito il vocabolario interpretativo necessario affinché l'Occidente potesse comprendere l'icona non come un'idolatria esotica, ma come una rappresentazione metafisica olistica del ritmo eterno di creazione e distruzione. Egli collegò il simbolo alla filosofia e all'arte in modo da risuonare con una sensibilità universale.

Tuttavia, è fondamentale storicizzare l'opera di Coomaraswamy, che si inserisce nel contesto dell'Orientalismo e della Scuola Tradizionalista (accanto a pensatori come René Guénon e Frithjof Schuon). La sua interpretazione, per quanto influente, è stata oggetto di critica storiografica: alcuni studiosi ritengono che essa possa aver idealizzato la civiltà indiana e basato le sue conclusioni simboliche su testi Śaiva più tardivi, ignorando il significato rituale e talvolta problematico dell'icona nel suo contesto originale.  La critica post-coloniale sottolinea come, nell'enfasi sul "senso olistico" dell'arte indiana, aspetti sociali meno lusinghieri o la complessità del rituale possano essere stati trascurati.


La metafora cosmica di Natarāja ha trovato una sorprendente risonanza nella fisica del Ventesimo secolo. L'austriaco-americano Fritjof Capra, nel suo influente libro Il Tao della Fisica (1975), interpretò il dinamismo della danza come un'analogia perfetta per l'attività incessante della materia subatomica, dove le particelle sono impegnate in un "continuo ritmo di creazione e distruzione".

Questa convergenza di mitologia antica e fisica moderna ha trovato una manifestazione tangibile al Centro Europeo per la Ricerca Nucleare (CERN) in Svizzera, sede del Large Hadron Collider. Nel 2004, il governo indiano ha donato al CERN una statua di Natarāja alta due metri. La placca posta sul basamento cita esplicitamente Capra, affermando che la metafora della danza cosmica "unifica così l'antica mitologia, l'arte religiosa e la fisica moderna".1 Questo evento sancisce il successo di una narrativa transdisciplinare che vede nel Natarāja non solo un simbolo di fede, ma anche una potente espressione visiva della dinamica quantistica dell'universo in espansione e contrazione (concettualmente simile al susseguirsi dei Big Bang e delle ere cosmiche).

Un'altra profonda risonanza filosofica si trova nell'opera di Friedrich Nietzsche. Così parlò Zarathustra: "Io non potrei credere se non in un Dio che sapesse danzare".

Il parallelismo tra Śiva Natarāja e il Dio nietzschiano è essenziale: entrambi celebrano il movimento, l'energia vitale, e soprattutto, la distruzione come forza rigeneratrice. La danza di Śiva, in particolare il Rudra Tāṇḍava, che elimina ciò che è vecchio e decrepito, si allinea con l'idea nietzschiana dell'Eterno Ritorno e della Volontà di Potenza, che esige l'affermazione della vita attraverso la trasformazione radicale.   L'estetica dionisiaca, centrale nel pensiero di Nietzsche, esige un'arte che sia vigorosa, che "squarci" e che costringa l'individuo a confrontarsi con il caos primordiale. Śiva, distruggendo l'Apasmāra (Ignoranza), permette al danzatore di liberarsi dalle catene dell'illusione e di agire nel mondo con la leggerezza che Nietzsche desiderava per l'uomo che ha imparato a volare.  Questa interconnessione stabilisce Natarāja come un archetipo che si manifesta attraverso le culture come un simbolo della dialettica tra caos e ordine, essenziale per la liberazione individuale.


La posizione dello yoga


È fondamentale sottolineare che Natarājāsana (La Posizione del Signore della Danza) non è annoverata tra le āsana classiche descritte nei manuali medievali dello Hatha Yoga, come la Haṭha Yoga Pradīpikā (XV secolo) o la Gheraṇḍa Saṃhitā (XVII secolo)  La sua genesi è moderna e illustra un fenomeno di re-importazione culturale nel Novecento.

La posa, infatti, ha origine nelle karaṇa (posture della danza) codificate nel Nāṭya Śāstra e magnificamente raffigurate sui gopuram dei templi, come quello di Chidambaram, risalenti al XIII secolo.  L'integrazione di questa postura nel repertorio yoga avvenne principalmente nel XX secolo, tramite l'influenza di maestri come Tirumalai Krishnamacharya e B.K.S. Iyengar.5 Per Iyengar, in particolare, Natarājāsana divenne una "posa firma," emblematica della flessibilità e della grazia, contribuendo a renderla la posa rappresentativa dello yoga della fine del XX secolo. L'adozione di posture visivamente complesse, derivate dalla danza classica indiana (Bhāratanatyam), riflette la tendenza del moderno Hatha Yoga a sviluppare un sistema somatico fisicamente esigente, che, pur non essendo tradizionale nei testi, si legittima attraverso l'attribuzione di un profondo significato mitologico.





Simbolismo dell'Āsana e la Ricerca dell'Equilibrio


Nonostante la sua genesi moderna, la pratica di Natarājāsana riattiva l'apparato simbolico dell'archetipo di Śiva.1 L'esecuzione dell' āsana è un microcosmo della lotta contro l'ignoranza e per il dominio sul sé.

    Dominio sull'Ignoranza e Stabilità: La gamba che funge da base (radicata a terra) e il tronco eretto simboleggiano la stabilità e la mente salda, essenziali per schiacciare il demone Apasmāra (ignoranza e paura di cadere).1 L'equilibrio non è inteso come immobilità, ma come la capacità di rispondere e reagire ai fattori che tentano di destabilizzare il praticante, riflettendo la serena padronanza di Śiva nel caos.

    Coraggio e Trasformazione: La mano anteriore è spesso mantenuta in Abhaya Mudrā (gesto del coraggio), che per l'adepto simboleggia la forza interiore necessaria per abbandonare il vecchio modo di vivere e intraprendere il sentiero illuminato dello yoga.1 L'intensa apertura del torace in questa posizione viene interpretata come l'apertura del chakra del cuore, sede delle paure, un atto di coraggio nel mezzo della vulnerabilità.

    Il Ritmo Interno: L'attenzione alla respirazione (prāṇāyāma) in Natarājāsana conferisce un senso di "pulsazione che sospende il tempo della pratica dal tempo normale".  Questo ritmo interno richiama direttamente il  ḍamaru di Śiva, il simbolo della Creazione e del ritmo cosmico.

  Jīvanmukta e Karma Yoga


L'ideale etico e spirituale incorporato in Natarāja è profondo e si collega a concetti di liberazione presenti in testi fondamentali della filosofia indiana.

Il concetto del Jīvanmukta (l'anima liberata in vita), illustrato nello Yoga Vasiṣṭha—dove il saggio Vasiṣṭha istruisce Rama —trova una corrispondenza nella figura di Śiva. Il Jīvanmukta mantiene l'equanimità e la serenità pur agendo con vigore nel mondo. Natarāja, pur eseguendo l'atto massimo di distruzione e movimento (Tāṇḍava), sorride in modo sereno, agendo come l'Essere Supremo che è in azione senza esserne macchiato.

Questo modello riflette l'etica del Karma Yoga, espressa nella Bhagavad Gītā e ribadita nello Yoga Vasiṣṭha: l'individuo deve agire con diligenza e impegno, "come se tutto quello che fai comportasse un mondo di differenza, pur sapendo che tutto quello che fai non fa alcuna differenza per il mondo". Mantenere Natarājāsana in un equilibrio solido richiede uno sforzo massimo ma distaccato (non attaccato al risultato di cadere o rimanere in piedi). La pratica dell'āsana diventa così una meditazione sull'azione indifferente, in cui si manifesta la beatitudine (Ānanda) nel cuore dello sforzo dinamico.

L'analisi dimostra che Śiva Natarāja non è solo un'icona mitologica, ma un simbolo dinamico che catalizza verità universali attraverso una sintesi dialettica di opposti. Egli è contemporaneamente l'Immobile (Yogin), padrone di sé, e il Mobile (Danzatore), forza scatenata di creazione e dissoluzione. La sua rappresentazione, dal bronzo Chola ai karaṇa del Bhāratanatyam, è il codice visivo dei Pañcakṛtya, gli atti che regolano non solo il macrocosmo (ciclo cosmico) ma anche il microcosmo (liberazione dell'anima dall'ignoranza, Apasmāra).

Il percorso di Natarāja dal tempio di Chidambaram ai laboratori di fisica del CERN e alle palestre di yoga occidentali ne sottolinea la natura transculturale. La decontestualizzazione iconografica operata dall'Orientalismo (Coomaraswamy) e la sua metaforica riqualificazione in chiave scientifica (Capra) hanno favorito un dialogo interdisciplinare tra spiritualità e scienza, come attestato dalla placca al CERN.

In sintesi, la posizione Natarājāsana, sebbene non appartenente al canone dello Hatha Yoga pre-moderno, è un potente esempio di glocalizzazione e re-sacralizzazione. Essa incarna l'essenza archetipica della trasformazione: il praticante, imitando il Signore della Danza, affronta l'ignoranza e la paura con coraggio (Abhaya Mudrā), cercando la stabilità nel movimento estatico. L'antica mitologia, l'arte religiosa e la filosofia moderna trovano in questa postura un punto di unificazione, suggellato dalla pratica transculturale dello yoga.


 Bibliografia Selezionata

I. Testi Classici e Fonti Teologiche

  • Anonimo. Haṭha Yoga Pradīpikā. (XV sec. CE).

  • Anonimo. Gheraṇḍa Saṃhitā. (XVII sec. CE).

  • Bharata. Nāṭya Śāstra. (II sec. BCE – II sec. CE).

  • Yoga Vasiṣṭha. (Attribuzione tradizionale a Vasiṣṭha, datazione variabile)

II. Iconografia, Arte e Orientalismo

  • Coomaraswamy, Ananda K. (1918). The Dance of Siva: Fourteen Indian Essays. New York: Sunwise Turn.

  • O'Flaherty, Wendy Doniger. (1973). Siva: The Erotic Ascetic. Oxford: Oxford University Press..

  • Smith, David. (1996). The Dance of Siva: Religion, Art, and Poetry in South India. Cambridge: Cambridge University Press..

  • Zimmer, Heinrich. (1972). Myths and Symbols in Indian Art and Civilization. Princeton: Princeton University Press..

III. Storia delle Religioni e Teologia Śaiva

  • De Martino, Ernesto. (Opere sulla metodologia e l'etnocentrismo critico)..

  • Mahadevan, T. M. P. (1955). The Idea of God in Saiva Siddhanta. Annamalai University..

  • Monier-Williams, Monier. (1899). A Sanskrit-English Dictionary. Oxford: Clarendon Press.

  • Subramuniyaswami, Satguru Sivaya. (1997). Dancing with Siva: Hinduism's Contemporary Catechism. Kapaa, HI: Himalayan Academy..1

IV. Filosofia e Ricezione Moderna

  • Capra, Fritjof. (1975). Il Tao della Fisica. (Titolo originale: The Tao of Physics)..

  • Goldberg, Elliott. (Opere sulla storia dello yoga posturale moderno, criticando l'assenza di āsana moderne nei testi classici)..

  • Kirk, James A. (1988). "Shiva Nataraja." Parabola 13.1: 105-7..

  • Nietzsche, Friedrich. (1883-1891). Così parlò Zarathustra..

Potrebbe anche piacerti:

0 commenti

Yoga Magazine Italia 2017 © - Tutti i Diritti Riservati