Mito e yoga: Shavasana, la posizione del cadavere

agosto 31, 2018

  
 di Marco Sebastiani
  
Shavasana, la posizione del cadavere, è probabilmente la posizione più nota di tutto lo yoga o quantomeno la più praticata. Abbiamo visto come fin dai testi classici antichi, l'Hata Yoga Pradipika ad esempio [crf  "Hata Yoga Pradipika: le posizioni fondamentali (HYP.I:19-32) " ], viene considerata la posizione che conclude la parte dedicata alle asana e precede la pratica del pranayama, controllo dell'energia, della concentrazione, dharana e della meditazione, dhyana. Il corpo giace completamente disteso e abbandonato sulla schiena, sciogliendo ogni eventuale rigidità residua e la mente calma e vigile si prepara. I significati simbolici sono moltissimi, non è un caso che venga richiamato il termine shava, in sanscrito cadavere, e non, ad esempio, semplicemente la posizione supina o del dormiente o qualcosa di simile. Il richiamo al cadavere lascia sempre un po' stupiti o turbati noi Occidentali, ma la morte e la rinascita sono una metafora onnipresente in tutti i percorsi spirituali dell'Estremo Oriente e dell'India in particolare. Nella tradizione dello yoga la morte e la rinascita sono la premessa di un nuovo domani. Moltissime sono le scuole di yoga che svolgono un rito di iniziazione nel quale viene simulata la morte dell'iniziato e la sua rinascita. In quasi tutti gli ordini dei sadu, i monaci asceti, rinuciatari, dediti allo yoga, durante l'iniziazione, si simula la morte, la cremazione del corpo e la rinascita alla vita spirituale. Spesso il discepolo salta infatti nel fuoco. Per questo motivo al sopraggiungere della morte fisica, quasi universalmente, i sadu non vengono cremati come tutti gli altri indiani, perchè già lo sono stati, ma le loro spoglie sono abbandonate in un fiume sacro o inumate.

Ma veniamo alla posizione dello yoga, a shavasana, e ad uno dei più importanti miti che questa posizione richiama nell'immaginario collettivo, come conclusione della pratica dello yoga, non dimenticando che ogni singola pratica in qualche modo rappresenta anche la totalità del percorso.



Le vicende del grande re Parikshit Maharaj, sono narrate nella Mahabarata, il grande poema epico indiano, e nelle Purana, le storie mitologiche narrate nei Veda. Egli succedette nientedimeno che a suo zio Yudhishthira sul trono di Hastinapur, lo zio è un personaggio molto famoso dal quale si dipana tutta la Mahabarata e da cui ha luogo la guerra descritta nella Bagavat Gita.

Il marajà Parikshit, alla pari di suo zio, viene considerato nei testi un sovrano saggio e giusto che si prendeva sempre cura dei suoi sudditi. Accadde però che un giorno stesse cavalcando attraverso i boschi quando all'improvviso ebbe sete. Chi ha già letto l'articolo riguardo al mito relativo a bakasana [confronta: "mito e yoga: bakasana, la posizione della gru "] , può notare come la sete d'acqua sia un motivo ricorrente nella trama dei miti indiani, metafora dei bisogni profondi, della sete di conoscenza. Così il nostro re si fermò all'eremo del saggio Rishi Shamika e chiese a questo yogi dell'acqua. Ma Shamika era in uno stato di profonda mediazione, e non sentì la richiesta del re. Parikshit si infastidì, credendo che il saggio lo stesse opinatamente ignorando e, per metterlo alla prova, mise con un bastone un serpente morto, che giaceva a terra, intorno al collo del rishi in meditazione. Shamika non si mosse minimamente nè si lamentò e, osservando ciò, Parikshit si pentì di quanto fatto e si allontanò.
Il figlio del rishi, Shringi, anche lui asceta di rilievo, venne a conoscenza dell'offesa inflitta a suo padre, da Krsha, figlio di un altro rishi. Shringi si infuriò e maledisse il re, predicendo che avrebbe incontrato la sua morte tramite il morso del serpente Takshaka, entro sette giorni.


fig.1 Parikshit manca di rispetto al Rishi Shamika




Una volta uscito dalla meditazione Shamika apprese quanto fatto dal figlio e non ne fu contento. Resta celebre il discorso tra i due con cui il padre ammonisce il figlio, nel quale si parla dell'importanza del potere temporale per poter dare spazio a chi si occupa dello spirito e di come non si debba mai agire guidati dalla rabbia, ma semmai dal perdono. Questa parte del racconto è quella che però in questo momento ci interessa di meno e ci porterebbe un po' fuori strada.

Tornando a noi, una volta pronunciata, la maledizione non poteva essere annullata, quindi Shamika Rishi inviò un messaggero a Parikshit per avvertire il re del pericolo imminente. Comprendendo il suo destino, il re Parikshit andò a casa e rinunciò al suo trono. Poi andò sulla riva del Gange, dove un'assemblea di saggi si era riunita per meditare e discutere argomenti spirituali, vedremo per quale motivo. Il re Parikshit arrivò e chiese ai saggi di insegnargli la via dello yoga, per poter raggiungere la perfezione dello spirito. Proprio in quel momento arrivò un saggio nudo, di sedici anni, di nome Sukadeva. I naga baba, i monaci rinuciatari vestiti solo delle ceneri con cui cospargono il corpo, è possibile incontrarli ancora oggi in giro per l'India ed alcuni di essi praticano o insegnano lo yoga. Sukadeva era nientemeno che il figlio di Vyasa, il compilatore di tutta la letteratura vedica. Sukadeva sebbene giovane era uno spirito completamente auto-realizzato, un jivanmukta, un illuminato che aveva raggiunto la liberazione dalle rinascite quando ancora in vita. Egli può andare in giro nudo perchè ha trasceso il corpo. Tutti i saggi si alzarono e gli prestarono rispetto. Allora il re Parikshit chiese a Sukadeva di istruirlo sulla scienza dell'anima. Per i successivi sette giorni, Sukadeva insegnò al re lo yoga. Il marajà si immerse completamente per sette giorni negli insegnamenti dello yoga. Quando Sukadeva chiese al re se gli sarebbe piaciuto fermarsi per mangiare e bere, il re rispose che la conoscenza dell'anima soddisfaceva pienamente la sua fame e la sua sete. Dopo sette giorni, il re raggiunse l'autorealizzazione e accolse la sua morte fisica con distacco, senza paura, come una nuova nascita.
 Secondo la tradizione Sukadeva recitò la Bagavat Purana sulle rive del Gange, al morente re Parikshit, e questo testo venne ascoltato da Suta Gosvami, un celebre rishi che, a sua volta, lo ripetè ai saggi riuniti nell'assemblea alla quale i marajà aveva chiesto aiuto. Preoccupati dal futuro dell'umanità, i saggi si erano infatti riuniti per compiere dei rituali al fine di ostacolare le influenze della nuova era materialistica che proprio allora stava iniziando, ovvero i tempi moderni. Essi nulla poterono e il kali yuga, l'età oscura, ebbe inizio. La morte di Parikshit acquisice ancora un significato più elevato, egli ha raggiunto la liberazione proprio grazie al fatto che dovesse morire e sfuggirà a tutto questo, la morte è stata per lui il più grande dono e assolutamente vantaggiosa. Ha concluso la sua vita al termine di un'era spirituale propizia, godrà per sempre della pace raggiunta e non vedrà finire mai tutto questo con l'avvento dell'era materialistica. Almeno questo dice il mito.

Il re Parikshit ha fatto una scelta quando ha saputo che la sua morte era vicina e inevitabile. Invece di trascorrere i suoi ultimi giorni con la sua famiglia o godersi le sue ricchezze, ha scelto di ritirarsi nella foresta per apprendere lo yoga in mezzo a un'assemblea di saggi. E' l'illusione , maya, a indurci a negare la nostra stessa mortalità. E' l'attaccamento a farci avere paura della morte stessa e che ci spinge a fingere non esista. Quando arriverà la morte, dobbiamo lasciare indietro tutto ciò che abbiamo accumulato. Veniamo in questo mondo con le mani vuote e dobbiamo partire con le mani vuote. Essere consapevoli della morte in modo yogico permette di vivere ogni momento nella libertà e nella gioia. Shavasana, la posizione del cadavere, rappresenta la resa di tutti gli elementi che sono estranei alla nostra anima, di ogni elemento corporeo. Quando abbiamo completato la nostra pratica di asana e abbiamo praticato con tutto noi stessi, dando del nostro meglio, è a questo punto che dobbiamo lasciare andare tutto. Shavasana non viene praticato per riposarsi dalla stanchezza, seppure rilassare i muscoli e le articolazioni e porti grande giovamento, è invece uno stato mentale con il cuore completamente aperto che invita la grazia incondizionata nella nostra vita. Krishna, come l'incarnazione di questa grazia, dice ad Arjuna nella Bhagavad Gita: "Per favore rinuncia a tutti i tuoi doveri e abbandonati a me. Ti prometto che quando morirai, verrai da me e non rinascerai più nel mondo dell'illusione. Questa conoscenza è la suprema saggezza e il più grande segreto. È la conoscenza più pura, è imperitura, e la sua esperienza porta la più grande gioia. "

Dopo aver eseguito le asana si pratica shavasana, impersonificando un cadavere: si muore con il corpo, per poi rinascere con lo spirito nella successiva pratica della meditazione.
Come Krishna spiega ad Arjuna nella Bhagavad Gita, il corpo fisico è il vestito della nostra anima e deve essere cambiato quando si è logorato. La tradizione yoga suggerisce che è saggio tenere a mente questa caducità, senza fingere che la morte non esista, perché il giusto atteggiamento può darci un senso di scopo che può ispirarci a fare buon uso del tempo che abbiamo sulla terra.

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