Il valore di una pratica di sei giorni la settimana

luglio 03, 2018



 di Maria Sabatini


Perchè praticare sei giorni la settimana? La risposta breve è: "per la trasformazione". Questo tema solleva però molti interrogativi e vari dibattiti. Mi farebbe molto piacere se decidessimo di commentare questo articolo raccontando, qui sotto, la nostra esperienza e dicendo la nostra opinione a riguardo. L'errore di valutazione, facile da commettere, è quello di mettere in relazione il maggior allenamento con il miglioramento. Non è questo il motivo. E' enormemente più utile praticare 6 giorni 45 minuti di quanto lo sia impegnarsi per tre giorni la settimana un'ora e mezza. Vedremo il motivo.

Inizieremo con un approccio molto razionale. Quando pratichiamo 6 giorni a settimana, abbiamo l'opportunità di imparare più velocemente. Ripetendo asana e vinyasa su base giornaliere siamo in grado di memorizzare le sensazioni legate ad equilibrio e spostamento del corpo nello spazio, più rapidamente - sia a livello mentale che a livello fisico. Si chiama memoria neuromuscolare e, accademicamente, è definita come la capacità acquisita attraverso la ripetizione costante di sequenze ed azioni, di eseguire le stesse azioni in maniera automatica, riducendo al minimo il bisogno di essere vigili all’azione e quindi anche le possibilità di indecisioni o tentennamenti. Su di un altro livello potrebbe significare praticare senza le oscillazioni della mente, concentrati solamente sul proprio respiro. E' un principio molto conosciuto negli sport acrobatici, nei quali la memorizzazione delle sequenze complesse di movimenti deve avvenire a livello inconscio, ma anche da chi suona uno strumento musicale. Per chi suona il pianoforte o la chitarra, dopo costante e continuato esercizio, è come se le dita si muovessero da sole, collegate con il proprio senso armonico e melodico, con una velocità che alle volte sembra soprannaturale, oltre qualsiasi pensiero cosciente. Questo è vero per la velocità di esecuzione, ma anche per la precisione dell'esecuzione e per la gestione delle emozioni e delle sensazioni profonde. Avere il ricordo recente di come sono nate certe emozioni, mi permette di ricrearle più facilmente.



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Praticare 6 giorni alla settimana può anche aiutare a prevenire gli infortuni perché il corpo si abitua maggiormente al movimento e si diventa più consapevoli di ciò che il corpo può e non può tollerare. In poche parole si impara a gestirsi meglio fisicamente, a conoscere il proprio limite, quali sensazioni fisiche e mentali trasmette e come arrivarci, quando e se superarlo, quanto prima fermarsi, eccetera. Questa conoscenza dei propri limiti fisici si traduce in una progressione della qualità della pratica ovvero nella ricerca dell'intensità per noi ottimale della nostra pratica delle posizioni. Il nostro corpo si abituerà alla pratica più rapidamente se pratichiamo in modo costante. La flessibilità, la forza e l'equilibrio aumentano con una curva più ripida, a un ritmo più veloce, seppure non costante, con una pratica quotidiana.

Ma penso che la ragione più importante per praticare 6 giorni a settimana sia la disciplina che si instaura. So che dovrò esercitarmi ogni giorno, senza scuse, senza rimandare. A volte con una piccola imposizione, che però sarà ripagata enormemente. Un grande maestro inglese, David Swenson, è solito dire: "non mi sono mai pentito di aver iniziato e terminato la mia pratica quel giorno, ma mi sono sempre pentito di non aver svolto anche una sola pratica quotidiana". Non crediamo comunque che Mr Swenson abbia saltato molti giorni nella sua vita. 
Una pratica di 6 giorni alla settimana è ciò che differenzia una devota pratica yoga da un hobby o un regime di esercizio. E' questo che si intende per pratica intensa e svolta con devozione. È anche qui che inizia l'idea della pratica come metafora della vita. Quando ci impegniamo per un allenamento di 6 giorni a settimana inevitabilmente ci dovremo confrontare  anche con alcuni momenti in cui non ci andrà. Ci impegneremo quando è difficile. Ci troveremo sul tappetino anche quando non siamo al 100%. Questo è un punto fondamentale, imparare a gestirsi, imparare a gestirsi anche quando non siamo al massimo, approcciarsi con un modo diverso per fare le stesse cose, magari con minore intensità. Non è così semplice o scontato non spingere sempre al massimo. Molte persone affermano di aver compreso e apprezzato questo concetto solamente quando si sono infortunate, perchè sono state obbligate a gestirsi scendendo di intensità, ma,se sviluppiamo una pratica consapevole, non è necessario arrivare a tanto.
 Se pratichiamo solo quando è comodo, stiamo bene,  quando abbiamo dormito bene, o quando abbiamo mangiato in modo appropriato, allora stiamo evitando qualsiasi disagio o quantomeno il fatto di rapportarsi con una pratica da modificare, una pratica che svilupperà la medesima intensità percepita, ma con minore sforzo. Questa è secondo me una parte del lavoro interiore importante dello yoga.

Praticando anche quando non ne abbiamo inizialmente voglia vuol dire impegnarsi per la trasformazione, dimostrare un impegno per il lavoro interiore. Imparare a sentirsi a proprio agio con il disagio. In modo analogo possiamo imparare a non sottrarci alle cose che contano nella vita e allocare le risorse in modo da poter fare le cose che sono veramente una priorità per noi. Questo è ciò che ci porta lontano dallo yoga come hobby e verso lo yoga come stile di vita.

Certo, tutti noi conosciamo gli ostacoli che si possono presentare: ci stanchiamo, abbiamo un lavoro, bambini, animali domestici, capi, partner e altre richieste che vanno a incidere sulla gestione del nostro tempo. È sicuramente indispensabile gestire anche queste priorità. Ma è impensabile in 24 ore non riuscire a trovare del tempo da dedicare interamente a se stessi. Dovremmo poter sempre trovare 10 minuti per Surya Namaskara o una pratica da seduti, altrimenti forse dovremmo ricominciare a porre noi stessi al centro della nostra vita. A volte, dopo aver iniziato, saremo un po' frustrati perchè ci andrebbe di continuare, ma va bene così, questo creerà le motivazioni per i giorni successivi. Come dicevamo, praticare per 6 giorni su 7 ci insegna a gestire noi stessi, a non esaurirci fisicamente e mentalmente, altrimenti è facile abbandonare. Ci insegna a modificare la pratica in base alle esigenze in un dato giorno. Possiamo fare di meno o di più. La tua pratica è la TUA pratica.
Conosco persone che si alzano alle 5 della mattina per trovare un'ora prima di prepararsi alla vita di tutti i giorni e per fare questo vanno a dormire almeno un'ora prima la sera. Qualcuno arriva oltre e, quando cena, ha imparato a capire cosa gli farà trovare leggerezza il giorno dopo e cosa invece non lo aiuterà ad alzarsi dal letto. Questo processo aiuta a sviluppare consapevolezza. Fa parte del processo di conoscenza di se stessi.

Questo introduce anche un altro argomento, ovvero sviluppare una pratica individuale in solitudine. E' importante avere un maestro, crescere con lui, confrontarci con altri compagni di cammino, sentire quell'energia condivisa, meravigliosa, ma è anche importante sedersi con noi stessi nel silenzio, gestire i movimenti in autonomia, imparare a conoscere le fasi della nostra pratica. Diventare i maestri di noi stessi, in definitiva, aumentando l'esperienza. Solamente in questo modo potremmo calare su noi stessi una pratica perfetta e personalizzata al 100%.

Semplificando, alle volte, si dice di praticare al 70% della proprie capacità, ma questo è uno schematismo che non mi piace. E' una ricetta molto generalizzata che appiattisce tutte le fasi della pratica. Secondo me le indicazioni sono altre, dovremmo iniziare al 10% incrementando fino ad arrivare al 70%, poi gestendo un picco del 100% per poi raffreddarci nuovamente magari trasferendo questa intensità verso la concentrazione e poi la meditazione. Ma parlarne ha poco senso, ognuno ha la propria ricetta individuale. Quando diciamo il 100%, deve essere il 100% per quel giorno, per quel periodo dell'anno, senza arrivare a compiere sforzi eccessivi, in una parola, gestendosi.

Abbiamo iniziato con un approccio molto razionale, ma non è da sottovalutare il fatto che tutti i testi sanscriti classici raccomandino una pratica costante, intensa e portata avanti per un lunghissimo periodo. Numerosi sono i passi degli Yoga Sutra, già pubblicati su questa rivista, dell'Hata Yoga Pradipika, come della maggioranza dei testi indiani antichi e moderni.

Tapah, terzo precetto dei  nyama, le norme di comportamento secondo Patanjali, racchiude proprio questo concetto: disciplina, intensità della pratica, fino anche a significare austerità. Tapah ha la stessa radice del verbo ardere, bruciare, risplendere, sia nel significato di eliminare le impurità del corpo e dell'animo con il calore interno che in quello di accrescere e incanalare l'energia interna. Ma poi a ben vedere questi due concetti sono il medesimo.
Primo sutra del secondo libro: Tapah svadhyayes isvarapranidhanai kriyayogah. Lo yoga è azione e si realizza in tre componenti:  pratica intensa, studio di sé‚ abbandono allo spirito assoluto. Primo sutra del quarto libro: janma oshadhi mantra tapas samadhi jah siddhayah. I doni dello yoga sorgono tramite la nascita, le cure, i mantra, una intensa pratica e il samadhi. Secondo e quarto libro di Patanjali si aprono ribadendo l'importanza della pratica intensa.
Pratica intensa significa dedicare del tempo tutti i giorni ed impegnarsi al massimo grado,  su questo è difficile avere dubbi.


Infine, solamente una pratica di 6 giorni su sette restituisce il pieno significato del giorno di riposo. Potrà essere veramente una giornata dedicata al riposo, ci potremmo concedere un bagno caldo o un massaggio o un momento in più di relax, apprezzandolo fino in fondo. A Mysore, città indiana tempio dello yoga, il giorno di riposo va molto di moda il bagno ayurvedico con l'olio di ricino.  Poi, come tutte le discipline, ci vuole anche flessibilità, inserire un giorno in più con una pratica molto leggera o molto breve oppure un ulteriore giorno di stop fa parte del gioco. Chi pratica Ashtanga yoga secondo il metodo di Pattabhi Jois, introduce due giorni di stop in più in corrispondenza del plenilunio e del novilunio. Per le donne gli stop aggiuntivi al mese diventano tre, fermandosi un giorno del ciclo mestruale. Questa può essere una buona prassi, seppure se siamo noi a scegliere, senza schematismi, forse potremmo ancora dippiù venire incontro alle nostre esigenze. Personalmente non ho mai sentito differenza nella pratica fatta un giorno di luna piena o di luna nuova, rispetto tutti gli altri giorni del mese, forse ho poca sensibilità in merito ed anche questa è una scoperta.
In questo modo anche i giorni di riposo diventano giorni di pratica. Se il nostro corpo non è pronto potremmo istituire un secondo giorno di riposo totale in cui studiare qualcosa collegato con lo yoga, anche questo è pratica. 


Che dire, lo scopo di questo articolo è quello di fornire un suggerimento, non di asserire cosa sia giusto o sbagliato fare, ci mancherebbe, non ne avrei l'autorità e ne sono consapevole. Personalmente alzarmi la mattina, iniziare a gambe incrociate recitando qualche mantra, vedere sorgere il sole, arrivare ad una pratica intensa di asana per poi finire con quindici o venti minuti di meditazione, è uno dei momenti più belli della mia vita, ogni giorno, ed ho piacere nel condividere con voi questa mia abitudine, che è anche quella di moltissime altre persone in tutto il mondo. La trasformazione la apprezzo anno dopo anno, ma quello che mi porta lì tutte le mattine è proprio la gioia di esserci.



Liberamente ispirato dall'articolo: "The Value of a Six Day a Week Practice" di Jan Renè

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