Hata Yoga Pradipika: le posizioni conclusive [HYPI:44-57]

luglio 30, 2018


di Marco Sebastiani

La pratica descritta nell’Hata Yoga Pradipika è iniziata a gambe incrociate, focalizzando l’attenzione, è proseguita con posizioni gradualmente più energiche, fino ad arrivare ad un picco rappresentato da posizioni tra cui i bilanciamenti sulle mani, kukkutasana e mayurasana, si è giunti quindi in savasana, la posizione del cadavere, per poi riprendere posizioni più meditative, siddhasana, per iniziare, e quindi, come descritto nei sutra presentati in questo articolo, alle posizioni del loto, del leone e alla posizione propizia. Queste ultime quattro posizioni vengono accompagnate da esercizi di respirazione, di incanalamento dell’energia e di meditazione, argomenti sui quali l’autore tornerà nei capitoli successivi. Un aspetto balza immediatamente agli occhi. La pratica proposta è simile in maniera impressionante all’odierna pratica dello yoga della quasi totalità delle scuole. Non è ovviamente un caso. Da un lato anche altri testi classici, più o meno recenti, propongono un percorso simile. Dall’altro lato l’Hata Yoga Pradipika ha goduto di una popolarità grandissima tra tutti i grandi maestri moderni e i guru nel loro lignaggio, ovvero la discendenza diretta all’interno di una scuola. Krisnamacharya citava spesso quest’opera, così come i suoi allievi, tanto che spesso oggi giorno vengono attribuiti a Pattabhi Jois, Indra Devi o Iyengar, tra i più rappresentativi discepoli del guru di Mysore, alcuni sutra testuali dell’Hata Yoga Pradipika. Anche altri famosissimi maestri, cosiddetti della prima generazione, ovvero gli iniziatori dello yoga in occidente, tra i quali Yogananda, Swami Vivekananda o Swami Rama,  tenevano in grande considerazione l’Hata Yoga Pradipika. Fatto sta che lo schema di pratica proposto in quest’opera del 1500 DC è, di fatto, rimasto molto simile sino ai nostri giorni. Anche gli Yoga Sutra di Patanjali propongono una sequenza simile, come successione tra le varie componenti, ma come impostazione macroscopica, non con un  livello di dettaglio tanto specifico.
Il susseguirsi dei temi trattati nell’opera è molto lontano dal senso moderno. Sono spesso anticipati termini e temi che poi verranno trattati in seguito, accennati senza nessun approfondimento. L’Hata Yoga Pradipika è la tipica opera che necessita di essere letta due volte, altrimenti solo alla fine si ha il quadro d'insieme e facilmente non si focalizza quanto descritto nei primi libri, di importanza fondamentale.

Terminato savasana, stabilizzato il respiro, dopo la concentrazione tipica di siddhasana, si entra nella seconda posizione fondamentale: padmasana. 





fig.1 padmasana e baddha padmasana
da The complete Yoga Poses di D. Lacerda



HYP1:44. atha padmasanam |
vamurupari daksinam ca caranam samsthapya vamam tatha
dakso rupari pascimena vidhina dhrtva karabhyam drdham |
angusthau hrdaye nidhaya cibukam nasagram alokayet
etad vyadhi vinasa kari yaminam padmasanam procyate |44|


Il piede destro è appoggiato sulla coscia sinistra e, nello stesso modo, il piede sinistro sulla coscia destra. Le mani incrociate dietro la schiena afferrano i due alluci, si appoggia quindi il mento verso il cuore e si dirige lo sguardo verso la punta del naso. Coloro che percorrono il sentiero dello yoga chiamano questa posizione Padmasana, la posizione del loto che distrugge tutte le malattie.

Per l’ampio e variegato orizzonte simbolico del loto in relazione allo yoga, si consiglia di fare riferimento all’articolo già pubblicato su questa rivista “Yoga e mito, la posizione del loto  ”. Questa posizione viene presentata in questo e nei prossimi sutra in una serie di varianti che sembrano configurarsi come transizioni dinamiche tra una e l’altra posizione. Questo aspetto è piuttosto notevole e mette in discussione la staticità generalmente fatta coincidere con il termine Hata Yoga. Ma veniamo al testo.  Stupisce un pochino la prima versione proposta di padmasana, oggi giorno chiamata, con queste caratteristiche,  baddha padmasana, il loto legato. Altro fatto notevole è  che sotto il nome di un’unica posizione vengano presentate diverse varianti con il passaggio da una all’altra. In questo caso la prima proposta è una versione tra quelle più complesse o fisicamente difficili, le braccia si incrociano dietro alla schiena e ciascuna mano va ad afferrare la punta del piede corrispondente. La posizione del mento presta il fianco ad alcune interpretazioni. La quasi totalità dei commentari interpreta “il mento verso il cuore”, la chiusura della gola, come in jalandarabandha. A giudizio di chi scrive però, in tutta l’opera questa chiusura viene indicata come il mento verso il petto o lo sterno, potrebbe essere quindi l’indicazione per eseguire una flessione in avanti in una posizione simile a quella che oggi viene chiamata yoga mudra, anche in relazione al fatto che successivamente viene detto nuovamente di chiudere il mento al petto, cosa che sarebbe inutile se già si fosse in questa posizione. E' una supposizione.
Grande attenzione viene posta inoltre sul punto di attenzione dello sguardo, in questo caso la punta del naso. Questo dristhi è molto familiare ai praticanti di ashtanga yoga secondo il metodo di Pattabhi Jois, ed è noto appunto come nasagra dristhi, presente in molte asana delle loro sequenze.  E’ quasi impossibile eseguire questa posizione senza nessuna preparazione, sotto molteplici punti di vista, ma, come abbiamo detto, l’Hata Yoga Pradipika non presenta un inventario di posizioni, ma una sequenza di posizioni, e a questo punto il praticante è sufficientemente preparato dalla pratica precedentemente svolta. 


HYP1:45. Uttanau caranau krtva ūrusamsthau prayatnatah|
Ūrumadhye tathottanau panī krtva tato drsau||45||


Mantenendo i piedi sulle cosce, con le piante verso l'alto, si appoggiano le mani tra le cosce, con le palme rivolte verso l'alto.

HYP1:46. Nasagre vinyasedrajadantamūle tu jihvaya|
Uttambhya cibukam vaksasyutthapya pavanam sanaih||46||

Dirigendo lo sguardo verso le mani, si appoggia la lingua sulla base dei
denti ed il mento sul petto e lentamente viene innalzato il prana.


Ed ecco le indicazioni per la seconda variante: riportando il busto in posizione eretta, vengono mantenuti i piedi sopra le cosce, ma si slegano le braccia dietro la schiena portando solamente ora la chiusura del mento. Questa chiusura stimola il chakra visuddha ed è ritenuta sigillare l’ascensione del prana verso il chakra superiore, anja, il terzo occhio, in modo da creare una compressione che rimuove definitivamente gli ostacoli alla risalita energetica. Tutta la pratica dello yoga sappiamo essere, in ultima analisi, orientata al potenziamento ed al fluire dell’energia, o prana, dalla base della colonna vertebrale verso la sommità della testa, quando ciò accade si realizza il samadhì o ricongiungimento con lo spirito assoluto. Padmasana, eseguita ora con la schiena dritta, il petto aperto, le mani raccolte in grembo, separate, con i palmi verso l’alto, lo sguardo alle mani e la lingua appoggiata sui denti inferiori, favorisce in modo particolare questa condizione, secondo Svatmarama.

HYP1:47. Idam padmasanam proktam sarvavyadhivinasanam|
Durlabham yena kenapi dhīmata labhyate bhuvi||47||


Questa posizione è chiamata Padmasana e distrugge tutte le malattie; è difficile da praticare per le persone qualsiasi, ma anche per i saggi in questo mondo.

Le malattie curate da padmasana cui Svatmarama fa riferimento sono evidentemente le malattie del corpo e quelle dello spirito, l’ayurveda indiano non fa differenza tra corpo e spirito, la cura dei disequilibri viaggia sia in un senso che nell’altro, attraverso i cinque tipi di corpo propri dell’uomo tra i quali due sono proprio il corpo materiale e quello spirituale. Sulla difficoltà di padmasana molti praticanti non potrebbero che essere d’accordo. Su di un piano fisico richiede una buona flessibilità delle anche, che spesso, chi è solito sedere sulle sedie ha perduto, mentre nei paesi dove si è soliti sedere accovacciati tra i talloni, come l’India rurale, si è mantenuta, ma lo yoga serve anche a questo. Anche da un putno di vista energetico padmasana può facilmente far percepire dei disequilibri o una forte attivazione, ma vedremo quali suggerimenti darà l’autore nel prossimo sutra per riequilibrare questa sensazione. La maggioranza dei commentari, tra i quali Pradipaka e Swami Muktibodhananda, interpretano poi l’ultima parte di questo sutra “padmasana non può essere eseguita dalle persone comuni, ma solamente dai saggi”. Noi al contrario abbiamo interpretato in modo molto letterale che padmasana è una posizione difficile per tutti, anche per i saggi. A nostro giudizio non avrebbe molto senso includere questa posizione in un manuale dedicato evidentemente ai principianti o comunque ai praticanti non alla fine del proprio cammino, se potesse essere eseguita solo dai siddha, i grandi saggi. Tuttavia la logica di Svatmarama segue alle volte percorsi molto particolari, riportiamo quindi anche questa interpretazione.

HYP1:48. Krtva samputitau karau drdhataram baddhvatu padmasanam gadham vaksasi sannidhaya cibukam dhyayamsca taccetasi|
Varamvaramapanamūrdhvamanilam protsarayanpūritam nyañcanpranamupaiti bodhamatulam saktiprabhavannarah||48||


Mantenendo bene la posizione di Padmasana, bisogna ora unire le mani a coppa, spingere forte il mento sul petto; meditando sull'Assoluto, bisogna più volte sollevare l'energia consunta, Apana Vayu, inspirando lo spirito vitale e spingere verso il basso l'energia vitale, il Prana, con l’espirazione. Chi esegue questo, sperimenta un risveglio ineguagliabile, per mezzo della potenza dell'energia universale, Shakti.

HYP1:49. Padmasane sthito yogī nadīdvarena pūritam|
Marutam dharayedyastu sa mukto natra samsayah||49||


Non c'è alcun dubbio che lo Yogi in Padmasana, che trattiene l'aria inspirata attraverso le Nadî, otterrà la liberazione.



Ed ecco che arrivaimo ad una nuova transizione verso una variazione di padmasana. Dalla posizione precedente, si uniscono le mani a coppa. Prima le mani erano in grembo, separate, i palmi verso l’alto. Letteralmente le mani vanno posizionate samputitau, come una conchiglia, quindi probabilmente si porta il dorso di una mano sopra il palmo dell’altro con la punta dei pollici a contatto, ma non escluderei altri possibili mudra delle mani, ovvero posizioni di incanalamento dell’energia.  Comunque sia, è necessario concentrarsi sull’assoluto. Il termine utilizzato per meditare è proprio correlato con dhyana, il passo che anche per Patanjali costituiva l’ultima condizione della pratica, prima dell’illuminazione. Questo passaggio è, secondo me, molto importante. L’autore sta descrivendo una asana, una posizione del corpo, questo ha enunciato inizialmente, in questa posizione si eseguono come vediamo esercizi di respirazione e incanalamento dell’energia, e contemporaneamente si fa anche meditazione, passando anche nella transizione tra una variante e l’altra. Ancora una volta vediamo la profonda integrazione tra tutte le pratiche dello yoga, tra tutti i gradini della pratica. Non ha senso parlare delle asana come pratica fisica, e del pranayama e della meditazione come pratica spirituale, la pratica è una e nello stesso momento possiamo avere tutte e tre le condizioni, come in questo caso. Probabilmente alcuni praticanti troveranno maggiore concentrazione in posizioni più complesse, altri più semplici, ma non necessariamente chi è immobile sta meditando e chi è “con le gambe in aria” sta facendo  pratica fisica. Svatmarama ci sta dicendo che mentre eseguiamo il pranayama dobbiamo meditare sull’assoluto, plausibilmente significa acquietare la mente e dissolverla verso lo spirito assoluto che tutto pervade, il tutto eseguendo una posizione che per sua stessa ammissione risulta difficile.

L’esercizio di pranayama proposto consiste in una inversione rispetto al normale respiro. Nella respirazione consueta l’energia consunta, che trasporta le scorie del corpo, ovvero apana, è portata verso l’alto, all’esterno, con l’espirazione mentre l’energia fresca e vitale, prana, è portata verso il basso con l’inspirazione. L’autore indica invece di spingere verso l’alto apana con l’inspirazione e verso il basso il prana con l’espirazione. A nostro giudizio la concettualizzazione di questo pranayama risulta più complessa di quello che non sia in realtà l'esercizio stesso. Semplificando un pochino i significati energetici e apprezzandone la componente più materiale, sedendosi e provando a fare una respirazione molto profonda e completa, si ha proprio questa sensazione cioè che l’inspirazione aiuti a smaltire completamente l’aria consunta portandola verso l’alto e al contrario l’espirazione, portando all’esterno tutta l’aria consunta, porti a sua volta aria fresca nella profondità dei polmoni.
Secondo Svatmarama questo esercizio mette in contatto due tipi differenti ed opposti di energia e crea una grande potenza che agisce direttamente sul percorso di kundalini, l’energia che passa attraverso i chakra e va incanalata verso l’alto con lo yoga, energia manifestazione di Shakti, la primordiale energia cosmica che pervade l’universo, secondo quella identificazione tra spirito individuale e spirito che tutto pervade a cui spesso abbiamo fatto riferimento.

Infine, come per ogni posizione, Svatmarama promette che eseguendo queste indicazioni e facendo fluire l’energia attraverso gli opportuni canali si raggiungerà muktah, la liberazione. Questo passo riecheggia in modo molto simile la Bagavat Gita, molto probabilmente l’autore inserisce volontariamente questo termine, come citazione a proposito del valore del pranayama.
 Nel V libro, al verso 27-28 la Gita recita:”Chiudendosi ai pensieri mondani, con lo sguardo fisso sullo spazio tra le sopracciglia, bilanciando il flusso del respiro in entrata e in uscita nelle narici, e quindi controllando i sensi, la mente e l'intelletto, il saggio che si libera dal desiderio e dalla paura, vive sempre in libertà (muktah).” La citazione, inserita in questo punto e in questo contesto, confrontata con la complessità della meditazione proposta dalla Gita, sembra in verità un pochino maldestra e fuori luogo. Altre scuole, anche moderne, si riferiranno direttamente alla liberazione in vita, più o meno a proposito, tra le quali la famosa jiva mukti (www.jivamukti.com), come obiettivo del proprio percorso.





fig.2 simhasana VARIATION
da The complete Yoga Poses di D. Lacerda


HYP1:50. Atha simhasanam|
Gulphau ca vrsanasyadhah sīvanyah parsvayoh ksipet|
Daksine savyagulpham tu daksagulpham tu savyake||50||


Ora Simhasana, la posizione del leone.
Si posizionano le caviglie sotto i genitali, ai due lati di Sîvani, il perineo, la caviglia sinistra dal lato destro e quella destra dal lato sinistro.


HYP1:51. Hastau tu janvoh samsthapya svangulīh samprasarya ca|
Vyattavaktro nirīkseta nasagram susamahitah||51||


Dopo aver messo le mani sulle ginocchia, con le dita aperte, la bocca spalancata, la mente concentrata, si fissa con lo sguardo la punta del naso.

HYP1:52 Simhasanam bhavedetatpūjitam yogipungavaih|
Bandhatritayasandhanam kurute casanottamam||52||


Questa posizione è Simhasana, esaltata dai migliori Yogi, un'eccellente asana che favorisce la coordinazione tra i tre Bandha.

Nara-simha, l'uomo-leone, è un avatar, un'incarnazione di Vishnu, che venne sulla terra in questa forma per distruggere alcune forze del male sulla terra e ristabilire l'ordine del Dharma, la legge universale.   La posizione del leone, ha alcune peculiarità uniche nello yoga, tra cui la più evidente è il fatto di essere eseguita con la bocca aperta. Oggi giorno molte scuole di yoga la eseguono con la lingua fuori della bocca, a contatto con il mento, e le gambe in virasana (come nella figura 2) ma di queste componenti non c’è traccia nell’Hata Yoga Pradipika. La posizioni dei piedi  è simile a siddhasana, la posizione perfetta,  con i talloni rivolti in dietro, a contatto con il perineo, ma in questo caso si sorpassano leggermente.  Con il termine shivani, generalmente si intende l’ano e la zona adiacente il perineo, shivani nadi è un canale energetico che termina in questo punto e conduce un’energia discendente maschile. Le mani afferrano le ginocchia, con grande concentrazione, il termine usato è susamahitah, l’abilità di fissare l’attenzione della mente in questo modo è un risultato della pratica dello yoga, esercitata anche mediante il dristhi, lo sguardo che si posa in un punto. Il termine scelto è un termine importante, che definisce un orizzonte leggermente diverso da dharana, la concentrazione. La Srimad Bhagavatam o Bhagavata Purana che dir si voglia, pilastro dell’induismo, scritto tra il 500 e il 1000 DC ovvero precedentemente l’Hata Yoga Pradipika, in un passo celebre recita: “astauṣīd dharim ekagra-manasa susamahitah prema-gadgadaya vaca tan-nyasta-hrdayeksanah” (SB 7.9.7), Prahlada Maharaja fissò la sua mente e la vista sul signore Krishna, con piena attenzione in completa trance, con grande concentrazione, iniziò a offrire preghiere d’amore con una voce esitante. Come detto anche in altri punti di questa opera, si raggiunge la perfezione yogica quando si è liberi da ogni diversivo materiale e la mente è fissata in un punto, da qui inizia la perfetta meditazione, ma si possono anche intraprendere attività collaterali, come la poesia in questo caso, la recitazione di mantra o l'esecuzione di asana.

Questa posizione infine è esaltata per il coordinamento che produce tra i bandha. L’autore tratterà in seguito con dovizia di particolari il tema dei bandha, che, inserito in questo punto, risulta un pochino oscuro. Come abbiamo già detto, il primo bandha, la prima chiusura, viene stimoltata dai talloni a contatto con il pavimento pelvico, le palme delle mani sopra le ginocchia possono favorire invece la contrazione del secondo bandha, la parte bassa dell’addome, e infine il mento che scende verso il petto e la bocca aperta favoriscono la chiusura del bandha della gola, stimolando congiuntamente il chacra situato in questo punto, visuddha.




fig.2 bhadrasana
da The complete Yoga Poses di D. Lacerda



HYP1:53 Atha bhadrasanam|
Gulphau ca vrsanasyadhah sīvanyah parsvayoh ksipet|
Savyagulpham tatha savye daksagulpham tu daksine||53||


Ora bhadrasana, la posizone propizia.
Si posizionano le caviglie sotto i genitali, ai lati del perineo, Shivani, tenendo la caviglia sinistra a sinistra, e quella destra a destra.


HYP1:54 Parsvapadau ca panibhyam drdham baddhva suniscalam|
Bhadrasanam bhavedetatsarvavyadhivinasanam|
Goraksasanamityahuridam vai siddhayoginah||54||



Afferrare con le mani i piedi e tenerli ben fermi, uniti l'uno contro l'altro. Questa posizione è Bhadrasana, che distrugge tutte le malattie.

HYP1:55 Evamasanabandhesu yogīndro vigatasramah|
Abhyasennadikasuddhim mudradipavanakriyam||55||


I Siddha e gli Yogi la chiamano Gorakshasana. Con questa pratica, la fatica accumulata con le posizioni, asana, i Bandha, le chiusure, e i mudra, i gesti, per pulire i canali  dell’energia, scompare.

L’ultima posizione proposta nella sequenza è bhadrasana, la posizione propizia, l’indicazione sembra data proprio per entrare in questa asana dalla precedente, le gambe restano ferme, le caviglie mantengono il contatto con il perineo, ma le piante dei piedi scivolano a contatto una con l’altra. Anche bhadrasana, com la aposizione del loto, distrugge tutte le malattie dello spirito e della mente, secondo Svatmarama. L’ultima posizione proposta non è una posizione di totale rilassamento, così come la precedente, ha una componente attivazione, questo fatto non è trascurabile, dopo la pratica si svolgeranno probabilmente altre attività e quindi una posizione di attivazione energetica, prepara a risollevarsi in piedi. La pratica sembrerebbe raggiungere la condizione maggiormente estatica con siddhasana, la posizione perfetta, eseguita dopo l’allentamento di tutte le tensioni in savasana, la posizione del cadavere, dopodichè si eseguono posizioni ed esercizi di concentrazione, meditazione e pranaya, ma che, in qualche modo, favoriscano un’attivazione e preparino alla fine della pratica.

Altra componente che ben si sposa con la fine della pratica è che bhadrasana permetta di recuperare la fatica accumulata precedentemente. Anche questo passaggio è fondamentale. Con buona pace di chi ritiene che “il vero yoga” non comporti sforzo fisico, o che sia solamente una pratica seduti su di un cuscino, l’Hata Yoga Pradipika dice espressamente che le asana e i bandha, parte fondamentale e imprescindibile di tutta la pratica, comportano una fatica fisica, che badharasana aiuta ad eliminare.
Un’altra traduzione plausibile del sutra 55 è che bhadrasana permetta di recuperare la fatica accumulata con i banda e le asana e che queste preparino a mudra, gesti di indirizzamento dell’energia, descritte nel capitolo 3, e krya pravana, esercizi di respirazione o di accrescimento del prana, descritti nel capitolo 2. Entrambe le interpretazioni sono letterali, ma propendiamo per quella proposta, in quanto molte di queste tecniche utilizzeranno le posizioni di base sin qui esposte, è quindi lecito immaginare che si inseriscano all’interno di questa pratica e che bhadrasana sia effettivamente l’ultima posizione. Ovvero che non ci siano ulteriori pose, ma che queste 14 asana descritte siano utilizzate per tutta la pratica dello yoga secondo l’Hata Yoga Pradipika.

Swatmarama avvisa che esiste un’altro nome per definire questa posizione, ovvero Gorakshasana, la posizione di Gorakh, influente maestro elencato precedentemente nel lignaggio dell’Hata Yoga e influente fondatore del movimento monastico induista Nath, noto infatti anche con il nome di  Gorakhnath. Anche oggi giorno questa posizione è molto praticata, ma è generalmente conosciuta con il nome di baddha konasana, l’angolo legato.

HYP1:56. asanam kumbhakam citram mudrakhyam karanam tatha|
Atha nadanusandhanamabhyasanukramo hathe||56||


Le posizioni, asana, le apnee, kumbaka, i gesti, mudra, queste sono le tecniche, infine un attento ascolto del suono interiore, questa è la corretta successione nella pratica dell'Hatha-Yoga.

Svatmarama ribadisce la corretta sequenza nella pratica: asana, pranayama, ovvero l’accrescimento ed il controllo dell’energia attraverso il respiro e soprattutto le apnee a polmoni pieni e a polmoni vuoti, i gesti per incanalare l’energia, i mudra, tra cui rientrano come sottogruppo i bandha e infine l’ascolto del suono interiore, nada anusandhanam. Questo concetto di suono interiore può avere alcune interpretazioni, a vari livelli. Può essere riferito al pronunciare l’Ahum o Om ed alla vibrazione interiore che questo produce, oppure può essere riferito al canto dei mantra e del proprio mantra personale, in modo interiore, ma soprattutto, a nostro giudizio, in questo caso è da intendere come percepire anhanath, il suono senza suono, ovvero il suono dell’estasi meditativa, alle volte descritto come un suono di campanelli. L’autore aveva già parlato di questo concetto a proposito di siddhasana. Al sopraggiungere dello stato meditativo, nel silenzio dei pensieri, nella dissoluzione della mente, si rivela il suono senza suono, nada anhanath, descritto in numerosi altri testi, compresi i sutra di Patanjali (cfr Patanjali YSI:27-29).

HYP1:57. Brahmacarī mitaharī tyagī yogaparayanaḥ|
Abdadūrdhvam bhavetsiddho natra karya vicarana||57||

Il discepolo che vive nella continenza, che segue una dieta moderata,che vive ritirato e si dedica completamente allo Yoga, in un anno diventa un Siddha, un saggio illuminato, non c'è alcun dubbio.

Svatmarama, aveva menzionato yama, ovvero le norme di comportamento etiche, come un ostacolo alla pratica dello yoga, però a questo punto dice che alla pratica devono essere affiancate diverse regole. Questa ci sembra un’evidente contraddizione.  Una vita di celibato è la prima. In realtà il termine usato è Brahmacarī, overo camminare nella consapevolezza dell’Assoluto, di Bhrama, ma si intende  sempre con il significato di fare voto di castità, relativamente ai monaci e più in generale ai rinunciatari sulla via dello yoga. E poi ancora torna sul precetto già espresso nell’apertura dell’opera, ovvero che sia necessario non mangiare troppo. Più avanti, sempre in questo capitolo fornirà anche alcuni elementi concreti della dieta consigliata. Quindi, se si fa yoga e si vive con morigeratezza alimentare e sessuale, in un anno si diviene nientedimeno che dei santi uomini illuminati, uomini perfetti, si diviene Siddha. Se non sapete cosa fare per l’anno sabbatico o per l'anno di aspettativa, possiamo farci un pensiero. A parte gli scherzi, la semplicità del ragionamento e l’enormità della promessa, lascia un pochino disorientati, l’approccio naive di Svatmarama è evidente in molti passi, ma qui forse più che altrove; è evidente anche che l’autore si rivolga ad un pubblico semplice, sicuramente non a maestri di yoga. L’Hata Yoga Pradipika regala sicuramente interessanti spunti per la pratica, affascina per la vicinanza al nostro approccio contemporaneo con lo yoga, ma è ben lontano dall’elevatezza di pensiero di molte opere anche precedenti ed alla perfezione stilistica e filosofica degli Yoga Sutra di Patanjali, questo non può non essere detto. 

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