Luce sulla meditazione

aprile 20, 2020


di Enrico Casagrande

Il termine meditazione indica il flusso mentale ininterrotto rivolto verso un oggetto con seguente riduzione dell’impatto cognitivo – emotivo di ulteriori oggetti dell’attività psichica. Quella della meditazione è una tra le pratiche del mondo dello Yoga che maggiormente lo definisce sebbene possano differire le tecniche al variare delle tradizioni e dei lignaggi, fermo restando che nella maggioranza degli approcci il comun denominatore che appartiene pure all’immaginario collettivo del meditatore è l’immobilità del suo corpo favorente stati di coscienza non ordinari. Nell’opera di Patanjali la meditazione o dhyana (sanscrito ध्यान), è il settimo e penultimo stadio o anga che conduce allo stato di identificazione con l’assoluto o samadhi. Nella tradizione del Sanatana Dharma la meditazione dispone di un significato esclusivamente psico – spirituale, nell’Occidente della controcultura il termine assume gradualmente una connotazione correlata al benessere al punto che oggigiorno studi accreditati ne fanno uno strumento integrabile in alcune pratiche terapeutiche e di potenziamento della consapevolezza più in generale.



La meditazione e i suoi significati


La pratica della meditazione appartiene trasversalmente ai mondi tradizionali sia Orientale che Occidentale. Il termine è, nell’accezione comune Occidentale, sinonimo di riflessione attenta su temi di carattere religioso o filosofico, per un’accezione del termine affine a quello della spiritualità dello Yoga è più appropriato l’utilizzo del termine contemplazione a significare l’attività del focalizzare l’attenzione su un singolo oggetto spirituale al fine di far decantare le altre attività psico – affettive e raggiungere una condizione di quiete favorevole al raccoglimento ed alla comunicazione con l’alterità. Nella mistica cristiana d’Oriente l’esicasmo dei monaci del Monte Athos si concentra sul nome di Gesù per giungere alla quiete interiore o esychia (ησυχία) condizione essenziale per comunicare con Dio. La ripetizione incessante di un limitato numero di parole dal significato spirituale è una condizione che favorisce l’autoipnosi e quindi uno stato psicofisiologico di profondo rilassamento a prescindere dagli eventuali vantaggi di natura metafisica, è questo uno dei guadagni tangibili che le tecniche Yoga possono offrire. L’esperienza della contemplazione nel mondo cristiano, nonostante l’esicasmo ed altre pratiche spirituali proprie di specifici ordini religiosi, non ottiene quell’enfasi che le viene invece riservata nella spiritualità indiana (S. Piano, Enciclopedia dello Yoga, Magnanelli, 203, 2019, Torino).

Dai Veda alla Chandogya Upanisad


Il mondo vedico della ritualistica non si occupa in modo esplicito delle tecniche meditative. Il sannyasin che si allontana nelle Upanisad dal consorzio umano per praticare tapas, l’ardore dell’ascesi ritualistica introiettata, segna il momento in cui iniziano ad essere esposte le tecniche della contemplazione. Il procedimento che conduce tramite una modalità meditativa al Sé è il tema della Chandogya Upanisad (VIII a.C?). La meditazione è qui intesa come un itinerario di decostruzione della mente dove l’Io o aham giunge alla comprensione del Sé o atman (R. Calasso, L’ardore, Adelphi, Milano, 166, 2010). Nella settima parte dell’opera, il rishi Sanatkumara è il maestro di Narada, quest’ultimo si presenta al maestro come conoscitore dei Veda, dei Purana e delle altre opere del sapere, ciononostante avverte la frustrazione di non conoscere il Sé. Sanatkumara inizia allora con l’insegnare che tutta la conoscenza dell’allievo è la conoscenza di un nome o nam, su di esso deve meditare per giungere a padroneggiare il nome di Brahman. Ciò non risolve il percorso verso la conoscenza dato che esistono altri elementi sui quali rivolgere la propria contemplazione, più grande del nome sarà la parola o vac, meditando sulla parola si padroneggia essa stessa come espressione di Brahman. In un procedere specifico di contemplazione in contemplazione il praticante padroneggia tutte le modalità dell’esistenza fino a giungere alla conoscenza del Sé autentico. Le forme progressive di meditazione sono definite come upasana, il termine dhyana è qui utilizzato ad indicare la mente nello stato contemplativo. L’iniziato è condotto nella pratica di upasana sulla mente contemplativa, dhyana appunto, assieme ad altre upasana descritte nell’Upanishad (Chandogya Upanishad, trad. Swami Nikhilananda). La meditazione indica quindi l’azione del contemplare un oggetto pensato o reale al fine di divenire tutt’uno con esso Nei solchi di questa tradizione si pongono i Sutra di Patanjali nei quali la meditazione diventa la tecnica specifica che conduce al samadhi la cessazione dell’attività mentale che si identifica con lo Yoga.

Gli Yogasutra

Le ultime tre membra o anga dello Yoga di Patanjali (II sec. d.C.) ossia la concentrazione dharana, la meditazione o dhyana e l’estasi o samadhi sono pratiche di sviluppo psicologico riservate a colui che si è dedicato alla rigorosa disciplina morale e fisica dei primi cinque anga ossia astensioni o yama, osservanze o niyama, postura o asana, controllo del respiro o pranayama, ritrazione dei sensi o pratyahara, Il dettagliato percorso sta a significare la complessità, riconosciuta dall’autore, del fine dello Yoga che a proposito della meditazione così si esprime:

YSIII:2. “tatra pratyaya ikatanata dhyanam”
“Poi dhyana, la meditazione, è l'ininterrotto flusso della percezione profonda”
(trad. M. Sebastiani)

tatra =  quindi; poi
pratyaya =  ragione, nozione, contenuto della mente, cognizione, conoscenza, percezione
[eka = uno
tāna = fluire, migrare]
ekatānata = flusso ininterrotto, fluire unico
dhyānam = meditazione

Il tema del flusso ininterrotto di percezione ritorna con un discreto livello di comparabilità con le tradizioni precedentemente indicate. L’obiettivo dichiarato dello Yoga è sin dall’inizio del trattato “Chitta – vritti – nirodha” (YSI:2) ossia l’interruzione (nirodha) dell’attività mentale (chitta) nelle sue fluttuazioni (vritti). Patanjali prescrive che gli ultimi tre anga vengano considerati in un’unica categoria in quanto livelli differenti di sviluppo psichico. L’interruzione del flusso di coscienza è data attraverso la premessa della focalizzazione ininterrotta o dharana su di un oggetto che sia di coscienza o esterno è sostanzialmente irrilevante e varierà da tecnica a tecnica nella proposta delle differenti scuole di Yoga che il mondo indiano produrrà. I Sutra, si è scritto sopra, riservano a dhyana il penultimo ruolo nel percorso verso la realizzazione personale: è samadhi o unione che sintetizzerà i passi precedenti e significherà lo stato di unione dove, grazie all’intenso adoperarsi nella meditazione, l’individuo, dimentico della sua configurazione ordinaria, giunge ad essere tutt’uno con il Sé e con il brahman, lo spirito universale. L’illusione svanisce e la coscienza contemplativa rivolta all’immutabile relativizza la percezione mutevole. Risolta la dualità sopravviene la quiete che rende la meditazione, se confrontata con la spiritualità cristiana, un elemento essenziale, unico e caratterizzante del mondo dello Yoga, così come del Buddismo, dell'Induismo, del Jainismo e di molte altre realtà orientali.

La meditazione nel Tantrayoga


I testi della tradizione tantrica hanno una storia che si colloca tra il V secolo d. C. ed il XIX e le sue scuole si collocano in particolar modo nell’attuale Kashmir e nel sud dell’India, anche se di forme tantriche si parla facendo riferimento pure a scuole buddhiste e jainiste. Nell’alveo delle molteplici correnti tantriche, dualiste e non dualiste, proprie dell’India il riferimento condiviso è la rivelazione avvenuta tramite la divinità, che sia Shiva o una delle molteplici atre. Ciò fa sì che la meditazione sia caratterizzata da un forte riferimento alla componente divina che, sebbene presente, non è così centrale negli Yogasutra. Questi ultimi contemplano la divinità di Isvara che, stando alla lezione di Eliade rappresenta una terza modalità del reale unitamente alla natura prakriti e lo spirito purusa. Isvara è da intendere come il dio dello yogin che funge da supporto nell’ascesi (M. Eliade, Tecniche dello Yoga, Bollati Boringhieri, 1996). Isvara, più che un dio nella nostra accezione del termine, è lo spirito che anima il tutto, è l'unione tra atman, spirito individuale e brahman, spirito assoluto. È chiaro quindi che la relativa pregnanza del divino nei Sutra, che enfatizzano nella meditazione il flusso di coscienza concentrato non è la specificità della meditazione del più teistico Tantra Yoga. Esso prescrive complesse visualizzazioni incentrate su rappresentazioni delle divinità o yantra e su forme raffiguranti il cosmo e la sua dissoluzione mandala, la recita di formule sacre o mantra che l’iniziato apprende ad utilizzare attraverso un lungo tirocinio psico e spirituale, che richiede la necessaria presenza di un maestro (Susan Ganje, The Role of Meditation and Visualisation in Pātañjala Yoga and ‘Tantric’ Yoga, Religions of Asia & Africa SOAS, University of London, 2013). Una particolare enfasi viene riservata al risveglio di facoltà latenti nell’uomo. La meditazione favorisce il risveglio dell’energia cosmica o Sakti per essere ricondotta a Shiva. L’Hatayoga è un’espressione del tantrismo e le pratiche del corpo che lo definiscono sono essenzialmente modalità esoteriche di attivare le energie sopite dell’uomo.

La ricerca scientifica


La ricerca scientifica e specificatamente le neuroscienze si occupano da decenni di indagare i reali e supposti vantaggi della pratica meditativa. La meditazione buddhista e la sua evoluzione nella mindfulness hanno trovano un maggior favore in termini di popolarità scientifica sia per la razionalità con la quale il buddhismo sin dalle origini cerca di porsi sia per la popolarità che il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso ha ottenuto proponendosi come promotore del dialogo interreligioso e della valenza psico – igienizzante della meditazione buddhista. Cionondimeno esistono ricerche sulla meditazione propria di scuola indovedica e tantrica che presentano risultati analoghi a quelli riferiti alla meditazione buddhista, una possibile demarcazione si può trovare tra le tecniche di concentrazione, più proprie del primo contesto, e quelle con consapevolezza aperta generalmente più vicine al buddhismo anche se va precisato come nello Yoga del sanatana dharma sono altresì presenti esercizi basati sull’osservazione passiva degli stati mentali (es. savasana).  Al di là degli approcci, molti effetti sul piano fisiologico sono gli stessi e le variazioni più significative sono misurabili proprio in termini di maggior capacità di focalizzazione nei praticanti meditazione concentrata mentre maggiore apparirebbe la creatività e la capacità di passare da un contenuto mentale all’altro nei praticanti tecniche di consapevolezza (Dominique P. Lippelt et alia, Focused attention, open monitoring and loving kindness meditation: effects on attention, conflict monitoring, and creativity, Frontiers in Pshycology, sett. 2014). Le metodiche d’indagine sull’attività cerebrale permettono di osservare il cervello del meditatore e la sua risposta fisiologica estesa. Fin dagli anni ‘70 è noto come le onde cerebrali siano modificabili con la meditazione, la frequenza misurata durante la pratica va dagli usuali 14 – 30 Hz a circa 8 – 13 Hz indicante una condizione fisiologica di rilassamento. Analogamente sono riscontrati livelli pari o superiori a 30 Hz corrispondenti ad un elevato livello di consapevolezza. Un altro dato misurato con la metodica dell’EEG è quello della sincronicità delle onde in differenti parti del cervello durante la meditazione. Una sincronicità che è indice di creatività (E. Greco, You can change your mind, Meditation’s Beneficial Neurological Effect on the Brain, 11, 2004). Le tecniche di neuroimaging mostrano un’aumentata attività della corteccia prefrontale correlata a meccanismi di consapevolezza nel posporre la gratificazione, l’effetto sulla terapia nelle dipendenze ne è una logica conseguenza (Andrew Merluzzi, Breaking Bad Habits Association for psychological science, gen, 2014). Un problema che caratterizza gli individui con sintomatologie depressive riguarda la tendenza ad alimentare una narrazione interiore rivolta al passato o al futuro con effetti sovente negativi. Per buona parte del tempo le persone vivono in default mode network (DMN) o sistema delle condizioni di default, l’attivazione di una serie di regioni cerebrali deputate alla gestione della memoria autobiografica, del sogno ad occhi aperti e del pensiero riferito al futuro. Il default mode network viene quindi indicato come la base neurologica del Sé (Jessica R. Andrews-Hanna, The brain's default network and its adaptive role in internal mentation, in The Neuroscientist: A Review Journal Bringing Neurobiology, Neurology and Psychiatry, vol. 18, giugno 2012). Le manifestazioni invece patologiche correlate al DMN sono causate da un’eccessiva connettività tra le aree del network che si traduce ad esempio in una spiccata sensibilità sociale sovente associabile a condizioni depressive. Nei meditatori esperti sono registrati cambiamenti di tipo strutturale dove la DMN presenta una minore connettività e fa registrare un potenziamento del task positive network (TPN) il correlato opposto del default network che viene attivato con compiti che richiedono attenzione rivolta all’esterno. Semplici tecniche di meditazione su specifici oggetti del pensiero privi di impatto emotivo negativo attivano il TPN riportando la consapevolezza sul presente e depotenziando l’eventuale intrusività di fastidiose narrazioni interiori (A.S. Norman, The Mindful Brain and Emotion Regulation in Mood Disorders, Can J Psychiatry, marzo, 2012).

Conclusioni

La meditazione Yoga ha la sua origine nell'India antichissima, ne osserviamo quelle che sembrano essere le tracce più remote giunte fino a noi, nei Veda e nel mito. Conosce poi la sua sistematizzazione nelle tecniche del corpo e dello spirito. Trova infine una sua inaspettata quantificazione nel pensiero calcolante odierno. Oggi infatti si misurano alcuni aspetti della meditazione cogliendone le componenti aconfessionali spendibili per il cosiddetto "benessere". La ricerca scientifica più seria evidenzia tuttavia che in questo ambito i risultati richiedono ulteriori indagini, condotte con tecnologie in continuo perfezionamento. Vedere nella meditazione una panacea diventa un’entusiastica scorciatoia che il praticante delle discipline dello Yoga deve osservare con il giusto spirito critico, cogliendone semmai le piacevoli suggestioni estetiche e i vantaggi sperimentabili attraverso una pratica che, una volta appresa, ha il “semplice” costo del dover essere costanti.


Riferimenti
J. R. Andrews-Hanna, The brain's default network and its adaptive role in internal mentation, in The Neuroscientist: A Review Journal Bringing Neurobiology, Neurology and Psychiatry, giugno 2012
R. Calasso, L’ardore, Adelphi, Milano, 2010
Chandogya Upanishad, trad. Swami Nikhilananda, sanatan.intnet.mu, consult. aprile 2020
D. Goleman, La forza della meditazione, BUR, 2003, Milano
E. Greco, You can change your mind, Meditation’s Beneficial Neurological Effect on the Brain, 11, 2004, acedemia.edu
M. Eliade, Tecniche dello Yoga, Bollati Boringhieri, 1996, Torino
S. Ganje, The Role of Meditation and Visualisation in Pātañjala Yoga and Tantric Yoga, Religions of Asia & Africa SOAS, University of London, 2013
D. P. Lippelt et alia, Focused attention, open monitoring and loving kindness meditation: effects on attention, conflict monitoring, and creativity, Frontiers in Pshycology, 2014
Andrew Merluzzi, Breaking Bad Habits Association for psychological science, 2014
A.S. Norman et alia, The Mindful Brain and Emotion Regulation in Mood Disorders, Can J Psychiatry, 2012
S. Piano, Enciclopedia dello Yoga, Magnanelli, 2019, Torino
M. Sebastiani, Patanjali, Yogasutra, Libro terzo: i doni, Yogamagazine.it, marzo, 2018

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