Mito e Yoga: Anjali Mudra, il gesto delle mani giunte

gennaio 09, 2018



Le mani giunte, con le dita distese, davanti al petto o sopra la testa sono probabilmente un simbolo antico quanto l'uomo. In Occidente le mani giunte evocano facilmente il gesto della preghiera cristiana, in particolare è molto comune l'iconografia di questo gesto associato con Maria la madre di Gesù Nazareno. Questo segno è ampiamente diffuso anche in Oriente in epoche ben più remote, tracce archeologiche lo testimoniano già 3-4 mila anni prima di Cristo. Un segno di benedizione talmente diffuso che ancora oggi in India viene utilizzato per salutare il prossimo, pronunciando il classico namastè o pranam. Con l'articolo di oggi cerchiamo di fare un po' di chiarezza ed in particolare approfondire alcuni aspetti legati al mondo dello yoga. Un certo filone mitologico dell'Induismo Visnuita fa risalire infatti l'origine di questo mudra (segno) nientedimeno che alla madre di Patanjali, il fondatore dello yoga, la cui opera abbiamo pubblicato in vari articoli precedenti, e il cui nome stesso nasconde questo intimo legame (pat-anjali).

Innanzitutto, non possiamo parlare di mudra, ovvero di segni con le mani o con le dita, senza analizzarne il significato energetico della tradizione ayurvedica e yogica classica indiana. Molto brevemente, possiamo affermare che i mudra possono essere descritti come gesti o posizioni per incanalare il flusso di energia che tutto pervado o prana. Il Kularnava Tantra, testo delle tradizioni tantriche shivaite Kaula e Nath, datato intorno al XIII secolo, definisce la parola mudra come deviazione, reindirizzamento dell’energia dalla sua strada o scorciatoia nel suo percorso. I mudra manipolano il flusso del prana nello stesso modo in cui uno specchio devia le onde luminose oppure nel modo in cui le onde sonore possono subire deviazioni incontrando una parete rocciosa producendo l'eco. Si ritiene infatti che le nadi, i canali che trasportano il prana, ed i chakra, i punti nel corpo in cui l'energia crea dei vortici, assorbano ed irradino costantemente il prana, che in condizioni di normalità sfugge lentamente via dal corpo e si disperde nel mondo esterno. Con la creazione di queste barriere, erette attraverso la pratica dei mudra, l’energia viene reindirizzata all’interno. Ad esempio, semplificando, quando pratichiamo chin mudra, ovvero uniamo indice e medio di una mano, il prana irradiato verso le braccia e le dita, viene riflesso indietro e conservato.




I mudra oltre a reindirizzare hanno anche lo scopo di concentrare e potenziare il flusso di prana. Così si esprime l'Hatha Yoga Pradipika, pietra miliare dello Yoga, a riguardo, HYP:3-5 "Pertanto la dea dormiente [Kundalini, impersonazione del prana ndr] all'ingresso della porta di Brahma [nel basso ventre, dove il prana ristagna ndr] dovrebbe essere risvegliata costantemente e con ogni sforzo, eseguendo i mudra accuratamente."

Classicamente la forza del flusso energetico all'interno del corpo è legata all'elevazione nello yoga e nel percorso spirituale; nelle persone "comuni" l'energia assimilata giace inerte nel basso ventre, nei guru l'energia scorre potente tramite le nadi attaverso tutti i chakra fino alla sommità della testa. Anjali mudra ha quindi un valore energetico tradizionale molto forte, che, attraverso le mani, mette in contatto l'energia del lato destro del corpo, ovvero l'energia trasportata dalla nadi Pingala e legata all'energia solare e maschile, con il prana che scorre nella nadi sinistra del corpo, Ida, legata all'energia femminile e lunare. Si dice che percependo quale mano eserciti maggiore pressione in tale posizione, si possa capire quale tra i due aspetti energetici, chiamati anche Shiva e Shakti, abbia la predominanza in quel momento.

Garuda Mandapa, tempio di Ranganatha, Srirangam 


Questo è, a grandissime linee, il significato tradizionale di anjali mudra da un punto di vista energetico, ma numerosi sono anche i miti che attribuiscono a questo gesto un valore di invocazione alla divinità. Abbiamo già visto in un precedente articolo come nella posizione yoga di Hanumanasana, le mani unite sopra la testa rappresentino l'invocazione per ottenere la grazia da una divinità.
Classicamente lo yoga è legato alla figura di Shiva, lui ne fu infatti l'ideatore, secondo il mito, dopo una meditazione di migliaia di anni ed a lui sono devoti molti sadhu (monaci) indiani, asceti e yogin, ma Shiva non si occupa più di tanto della sorte degli uomini. Per eccellenza la divinità che si occupa dei bisogni degli uomini sulla terra, per preservare il mondo, è Visnu ed infatti a lui si rivolgono più di frequente le preghiere degli uomini. L'Induismo è una religione che non ha una vera ortodossia, ovvero convivono centinaia di scuole e filoni differenti che hanno una visione del mondo anche sostanzialmente diversa, per questo motivo il quadro che stiamo presentando procede per approssimazioni, e grandi schematismi, tralasciando le sfumature.  In questo senso anjali mudra mette il devoto Induista in contatto con Visnù, al quale spesso chiede una grazia, ma soprattutto lo yoga viene riportato nella sfera di interesse di questa altra grande divinità indiana, un interesse legato strettamente al destino degli uomini. Come vedremo, lo yoga è stato ideato da Shiva, ma Visnu darà ad esso la giusta direzione tra gli uomini.

Ad un certo punto quindi, Visnu guardò la terra e vide che c'era un'opportunità per portare una maggiore coesione ed unione nella vita delle persone che erano interessate allo yoga. Trovandosi sul grande serpente Ananta, nel grande oceano delle possibilità del destino, Visnu notò questa separazione nella pratica dello yoga, e pensò che sarebbe stata una buona idea trovare un modo per porvi rimedio. Qualcuno interpreta che questa disunione fosse tra le varie sette dello yoga che imperversavano in quel momento, qualcun'altro che la separazione fosse tra mente, corpo, spirito individuale e spirito assoluto dei praticanti, ma la sostanza non cambia molto. Visnu decise di inviare il mitico serpente Ananta, il cui nome significa infinito o eternità ed è uno dei nomi con cui il Dio stesso viene chiamato, con il compito di riunire lo yoga in un'unica grande pratica o di far divenire lo yoga una grande pratica di ricongiungimento dei diversi aspetti che compongono l'essere umano o, forse più appropriatamente, entrambe le cose.

Sulla terra viveva una donna che aveva la sfortuna di non poter avere figli. Era una devota di Visnu e pregava ogni giorno per ricevere la benedizione di un bambino. Pregava con grande perseveranza e teneva le mani giunte per ricevere la benedizione divina su di lei. Un giorno, mentre era inginocchiata con le mani giunte rivolte verso il cielo, Visnu decise di donarle la grazia di un figlio tramite il suo avatar Ananta. Nelle sue mani in preghiera cadde il piccolo Patanjali. Pat significa in sanscrito "cadere", e anjali è il gesto che la donna faceva con le sue mani. Avendo avuto natali celesti ed essendo incarnazione diretta di Visnù, il bambino non aveva carattaristiche interamente umane, ma umane e divine al contempo.  La parte superiore del busto era infatti umana, ma la sua metà inferiore era la coda di un serpente. Se vi è capitato di vedere le statue dedicate a Patanjali, è in questo modo che l'autore degli yoga sutra viene rappresentato, per simboleggiare i suoi legami celesti. Il mito racconta che Ananta, mentre cadeva sulla terra, non ebbe il tempo di completare la propria trasformazione in uomo. La donna lo allevò e lo crebbe nell'amore, estasiata dal divino regalo. Patanjali, di contro, divenne un grande maestro dello yoga e aiutò il mondo riunendo i praticanti dello yoga, in un'unica grande opera, gli Yoga Sutra. Sutra significa "filo", e gli aforismi riuniscono lo yoga in un unico grande tessuto o una collana di cui costituiscono le perle.

Statua in bronzo dedicata a Patanjali 

Anjali significa in sanscrito benedizione, offerta divina, saluto ed è in questo modo che gli Indiani, ancora ai nostri giorni, sono soliti salutarsi, pronunciando la parola namastè, che a sua volta ha molti significati, ma, letterlamente, namas significa "adoro", "mi inchino" e te significa "a te" (dativo del pronome personale tvam). Da qui il saluto che gli yogin si scambiano al termine della pratica secondo molti assume il significato di "saluto le qualità divine che sono in te" oppure "le qualità divine che sono in me si inchinano alle qualità divine che sono in te" finanche addirittura come riportato persino da wikipedia "unisco il mio corpo e la mente, concentrandomi sul mio potenziale divino, e mi inchino allo stesso potenziale che è in te". Certo è che il significato simbolico che soggiace a questo termine accompagnato dal gesto di congiungere le mani è molto ricco e rimanda ad un momento di sacralità tra due persone che si incontrano.  
I discepoli di molte scuole di yoga terminano la pratica proprio salutandosi a mani giunte e dicendo namastè, con il significato precedentemente esposto.
Alcuni aggiungono a questo rituale la pronuncia delle parole shanti, shanti, shanti, con le mani che si incontrano alla fronte, alla bocca, al cuore e verso il pavimento, un maestro indiano mi disse che il significato fosse di chiedere la benedizione (significato ultimo di anjali mudra) per avere la pace (shanti) nei pensieri, nelle parole, nel cuore e sulla terra. Tutti i simboli hanno il significato che attribuiamo loro ed alcune volte è difficile non rimanerne profondamente affascinati.


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