Yoga Sutra: corpo, spirito e karma, Ia parte IV libro [YSIIII:1-13]

novembre 09, 2017



Il quarto e ultimo libro dei sutra di Patanjali è dedicato alla “liberazione” ed è secondo alcuni il libro più importante. L'autore riprende infatti concetti già espressi negli altri tre capitoli e li ribadisce alla luce di tutti i sutra enunciati sino a questo punto. Non vogliamo arrivare a dire che siano i concetti più importanti, ma sono quelli riguardo ai quali l'autore sente di dover ancora puntualizzare qualcosa. Questo quarto libro ha però dovuto scontare un destino simile a quello del terzo capitolo. Se ricordate il terzo libro è spesso interamente interpretato dai traduttori come una sequenza interminabile di doni prodigiosi che si ricavano dalla pratica dello yoga, dalla levitazione alla telecinesi. Abbiamo visto come questa visione sia ampiamente limitativa e faccia perdere di interesse il messaggio restituibile invece da questo testo veramente unico. In modo analogo il quarto libro è spesso tradotto con una sequenza interminabile di regole e principi poco comprensibili: incipit, “i doni dello yoga si conseguono alla nascita oppure con l'uso di droghe... ”, chi non chiuderebbe il libro dopo un simile esordio? La buona notizia è che una traduzione alternativa è possibile e che sembra parlarci in modo molto vivido.
La liberazione che da il titolo al IV capitolo è quella dello spirito, il concetto ha vari punti di contatto con l'illuminazione buddista, pensiero con il quale Patanjali ha molto in comune, se non altro da un punto di vista storico e culturale. La liberazione dai vincoli della vita mondana, dai desideri e dall'incessante vagare della mente è però raggiunta mediante la pratica dello yoga e ai progressi che questa ha consentito.



Libro quarto: Kaivalya
Capitolo sulla Liberazione

YSIIII:1. janma oshadhi mantra tapas samadhi jah siddhayah
I doni dello yoga sorgono tramite la nascita, le cure, i mantra, ovvero la ripetizione di parole sacre, una intensa pratica e il samadhi, ovvero il ricongiugimento con lo spirito universale.

Alla nascita possediamo già i doni che lo yoga permetterà di scoprire, ma li ignoriamo. Queste risorse non sono distribuite probabilmente in misura eguale a tutti gli uomini, ma tutti possiamo riscoprirle. Le cure che permettono questo percorso sono le medicine dello spirito, la parola utilizzata è proprio osadhim che indica le erbe degli infusi ayurvedici utilizzati come rimedi. Dobbiamo curare il nostro corpo, la nostra mente e la nostra anima con le medicine indicate nei libri precedenti, con gli otto passi dello yoga. Già molte volte Patanjali aveva fatto riferimento all'importanza ed al potere dei suoni per risvegliare lo spirito in noi, ma, per la prima volta, vengono indicati espressamente i mantra come parte integrante della pratica. Infine ribadisce quanto sin qui enunciato ovvero che sia indispensabile una pratica intensa e aver completato tutto il percorso delle otto membra che portano al risveglio della parte di spirito assoluto presente in noi, per conseguire i massimi benefici dello yoga. Lo spirito assoluto risiede in noi dalla nascita e lo yoga permette solamente di renderci conto della sua esistenza e di goderne. Questo è sicuramente un concetto fondamentale per tutta l'opera.

Questo sutra viene spesso tradotto “i poteri sono conseguiti alla nascita oppure con mezzi chimici (droghe) o con i mantra o con la mortificazione fisica o con la concentrazione”,  anche in autorevoli testi, tra i quali quello di Swami Vivekananda. Contravvenendo quanto sin qui fatto, riportiamo la sua versione originale, pubblicata:  “The Siddhis (powers) are attained by birth, chemical means, power of words, mortification or concentration”. Senza entrare nel merito, ci sembra tutto molto lontano da quanto sin qui professato dall'autore, da dove compaiano ora le droghe o le pratiche ascetiche nel discorso di Patanjali risulta oscuro, dato che non se ne è fatto cenno tra gli otto passi né altrove, così come il perché questi sei fattori siano tra loro alternativi e non complementari.  Come sempre riportiamo le traduzioni di altri autori,  qualora significativamente diverse e diffuse, per rendere chiaro che esiste sempre una certa interpretazioni per taluni sutra e che esistono ben avvalorate alternative, non per una  polemica o per denigrare il valore indiscusso di ben noti commentatori. Per lo stesso motivo a volte indichiamo perché si è scelta una linea interpretativa, senza spingerci nell'esegesi della critica del testo o nei meandri di tremila anni di filosofia del pensiero Indiano, da cui non usciremmo con le idee più chiare.

YSIIII:2. jaty antara parinamah prakrity apurat

La trasformazione fisica genera l'evoluzione delle proprie potenzialità interiori.
Da solo questo sutra può bastare a farci ripensare tutte le nostre idee sullo yoga.  Riteniamo che il significato proposto possa parlare direttamente ad ogni praticante e non ci dilungheremo nella sua spiegazione. Il risveglio dell'energia kundalini è un processo sia fisico che spirituale e, in questa accezione, prima fisico e poi spirituale, prima inteso temporalmente e non come importanza. La fisiologia sottile, il viaggio del prana attraverso i sette chakra e l'illuminazione che ne consegue alla fine del percorso, sono un processo che riguarda il corpo, la mente e lo spirito. Le pratiche descritte dall'autore nel secondo libro sono mirate di volta in volta ad aspetti che noi riconduciamo a taluno di questi tre campi, ma in realtà “curano” una unica entità, cioè noi stessi.

Mi fa sorridere come in occidente spesso maestri che si proclamano “spirituali” sviliscano la pratica fisica in favore di quella più meditativa o interiore. Questo atteggiamento è meno conosciuto in India dove, anzi, i discepoli cercano tracce fisiche della santità, della saggezza o dell'esperienza del guru, altrimenti è difficile che gli diano credito. Molte volte mi è capitato di sentire commenti canzonatori, da parte di smaliziati osservatori indiani, nei confronti di sedicenti sadhu, qualora fossero sovrappeso, oppure nervosi, oppure avessero atteggiamenti molto inclini alle vicende del mondo, cellulare compreso. In effetti si trattava spesso di questuanti travestiti in modo folkloristico, soprattutto nelle grandi città. Ma non divaghiamo. Il saggio porta per gli indiani il segno della sua santità anche nel corpo e probabilmente da essa è iniziata e ne trae origine.

YSIIII:3. nimittam aprayojakam prakritinam varana bhedastu tatah ksetrikavat
Tuttavia le causa esterne non sono sufficienti a muovere le tendenze naturali interne; si limitano a rimuovere gli ostacoli come avviene per l'irrigazione di un campo: il contadino rimuove gli ostacoli e l'acqua scorre liberamente per suo conto.

Anche in questo caso il concetto sembra chiaro. Patanjali, nel sutra precedente, ha affermato che la pratica fisica ingenera le evoluzioni che portano al risveglio dello spirito o ad accorgersi del proprio spirito che dir si voglia. Ora chiarisce che però la pratica fisica non genera le doti spirituali. La pratica fisica si limita a rimuovere gli ostacoli che impediscono all'energia che tutto pervade di muoversi all'interno di noi e trasformarci spiritualmente. Un altro modo di dire questo stesso concetto potrebbe essere che lo spirito è presente in noi e le tecniche fisiche eliminano i processi che ce ne impediscono la percezione, come ad esempio le oscillazioni della mente. Ed infatti il discorso prosegue in questa direzione.

YSIIII:4. nirmana chittany asmita matrat
La mente mutevole è generata unicamente dall'identificazione con ciò che è mutevole.

YSIIII:5. pravritti bhede prayojakam chittam ekam anekesham
Mentre ciò che è mutevole può manifestarsi in molti modi, la mente mutevole ne è il principio sottostante.

YSIIII:6. tatra dhyanajam-anashayam.
Solamente dyana, la meditazione, permette di raggiungere la libertà dalle oscillazioni dei mutamenti della mente.

Patanjali esprime ora con parole diverse quanto già affermato nel IV sutra del I libro, ovvero che lo yoga consiste nella cessazioni delle oscillazioni della mente (YSI:2) e che quando ciò non si verifica la mante assume la forma delle oscillazioni stesse (YSI:4). La mente sgombra e priva di oscillazioni è la forma perfetta che permette di osservare la mente stessa e di farci capire che non dobbiamo identificarci con i nostri pensieri: noi non siamo la nostra mente e infatti possiamo osservarla dall'esterno. Questa condizione permette di intravedere lo spirito che è presente in noi, perché è questo ciò che siamo. Anzi, meglio, siamo l'integrazione perfetta di spirito, mente e corpo. Ma per nostra stessa natura tendiamo a percepire solo la mente che rimbalza, muta di condizione e oscilla senza sosta. L'uomo è il cervello che pensa e basta, questa visione molto meccanica è sicuramente diffusa in Occidente. Lo yoga ci dimostra ogni giorno il contrario. In particolare la meditazione, che sappiamo deve essere preparata con opportune pratiche di asana, con esercizi di respirazione, avendo posto ordine nella propria vita, eccetera. Il sommo momento di assenza di oscillazioni nella mente è la meditazione o dyana. Per chi pratica quotidianamente questo passaggio appare vero se non scontato.
Quarto sutra del primo libro e quarto sutra del quarto libro esprimono lo stesso concetto, secondo voi è un caso? Direi proprio di no, il percorso si è compiuto e siamo ritornati al concetto originario, ma con tutta la consapevolezza della conoscenza acquisita durante questo fantastico viaggio.

Patanjali riflette poi se siano i pensieri a far oscillare la mente o se sia la mente a produrre pensieri che la perturbano, chiarendo che sia vero questo secondo caso e cioè che la mente è il principio da cui nascono i pensieri, senza la quale non ci sarebbero i pensieri. A noi contemporanei questo sembra piuttosto ovvio, ma l'autore ci tiene a specificarlo, nulla deve essere lasciato al caso. Ai suoi tempi esistevano anche tesi filosofiche che facevano provenire i pensieri da fonti esterne all'essere stesso. Non indagheremo oltre.


YSIIII:7. karma ashukla akrishnam yoginah trividham itaresham
L'azione, o karma, dello yogin non è pura né impura, mentre quella delle altre persone è di tre tipi: pura, impura e mista.

YSIIII:8. tatah tad-vipaka-anugnanam-eva-abhivyaktih vasananam
I tre tipi azioni, o karma, si manifestano allorché le circostanze si rivelano favorevoli alla loro realizzazione.

YSIIII:9. jati desha kala vyavahitanam-apy-antaryam snriti-sanskarayoh ekarupatvat
Poiché i ricordi e le impressioni sono parte eterna dell'essere, la relazione di causa ed effetto permane e non svanisce perfino allorché cessa di esistere la modalità, lo spazio e il tempo in cui si sono compiuti.

YSIIII:10. tasam-anaditvam chashisho nityatvat
E questo processo non ha inizio ne fine, in quanto il desiderio di vivere è eterno.

YSIIII:11. hetu-phala-ashraya-alambanaih-sangrihitatvat-esham-abhave-tad-abhavah
Essendo le conseguenze e le azioni, i principi del karma, legate insieme, in quanto causa e effetto, gli effetti svaniscono allorché scompaiono le cause.

YSIIII:12. atita-anagatam svarupato-'sti-adhvabhedad dharmanam
Passato e futuro esistono nel presente, tuttavia non sono sperimentati nel presente in quanto sussistono su piani diversi.

YSIIII:13. te vyakta-suksmah guna-atmanah
Siano essi manifesti o non manifesti, il passato, il presente e il futuro partecipano della natura della realtà, ovvero dei guna: sono stabili, attivi o inerti.

Questo lungo discorso sul karma può inizialmente spiazzarci, ma se riprendiamo il filo del discorso dal principio appare molto più lineare. Le conseguenze delle azioni su passato, presente e futuro, ovvero il karma, è stato un tema trattato in tutti i capitoli precedenti degli yoga sutra. Nel primo libro Patanjali afferma che lo spirito assoluto presente in se stessi, è atemporale e non viene influenzato dal karma (YSI:24). Nel secondo libro arriva a dichiarare che solamente le azioni generate dalla sofferenza, azioni che bisogna abbandonare, hanno conseguenze sul karma (YSII:12).  Quindi nel terzo libro sentenzia che la pratica dello yoga permette di avere chiarezza in merito a quali siano le vicende e le regole del karma e che è possibile sfuggire al karma una volta raggiunto il sommo livello della pratica. Ovvero a questo livello di illuminazione le azioni non hanno più conseguenze karmiche, cessando anche la catena delle rinascite (YSIII:23).  Avendo chiaro questo percorso del pensiero dell'autore appare naturale come ora affermi definitivamente che lo yogin illuminato, giunto alla vetta della sua pratica, avendo conseguito i più alti lasciti dello spirito, si sottrae alla legge del karma. Le sue azioni, in quanto sagge ed illuminate, in quanto compiute con distacco dai risultati e senza scopo, non hanno conseguenze nel presente e nel futuro, venendo a mancare la causa, viene a mancare l'effetto. Voi direte che la causa è l'azione stessa e quindi non viene a mancare, giusta osservazione, ma  l'azione dello yogin è come se non fosse compiuta da lui stesso, egli è il mezzo per un attore più alto, lo spirito assoluto. Esistono numerosi testi che dibattono questo tema molto importante per il pensiero indiano, la Bagavat Gita tra gli altri. Basti pensare che tutto il ciclo delle rinascite e la fortuna che tocca in sorte nella vita, tutto dipende dal karma, ci sembra normale una simile attenzione da parte di Patanjali. Se si parla di eliminazione della sofferenza dalla vita, non è possibile non approfondire e sviscerare il tema del karma.
Il karma è trattato dall'autore in sutra con una numerazione geometricamente simile nei diversi libri: I:24, II:12, III:24 , IV:12 (N.B. il 3° libro in alcuni commentari ha un sutra in più o in meno).  Non è chiaramente casuale, tutta l'opera di Patanjali ha delle interconnessioni tra le numerazioni dei sutra, ma abbiamo riportato queste evidenze solo nel momento in cui sono state particolarmente rilevanti, per non annoiare il lettore.

Patanjali rammenta anche in cosa consiste il karma delle persone comuni, che possa essere buono, cattivo o neutro, e che queste tre tipologie diano conseguenze di pari entità (buone o cattive) in momenti separati dal tempo e dallo spazio, solo quando l'attimo è opportuno, ma in modo inesorabile perchè il desiderio di vivere è eterno e quindi il karma, dal quale dipende, è eterno.  Cessata la paura della morte, cessata la brama di vivere e di reincarnarsi, essendosi ricongiunti col lo spirito assoluto, si sfugge al ciclo eterno e quindi ci si sottrae al karma. Il presente è la sublimazione di passato e futuro, ma questo non è vero per lo yogi, che agisce su di un piano differente, un piano spirituale eterno.

I primi tredici sutra del quarto libro hanno espresso concetti veramente significativi e Patanjali ha sigillato definitivamente la sua visione su due aspetti fondamentali:  il rapporto tra corpo, mente e spirito da una parte e conseguenza delle proprie azioni nell'armonia del mondo, o karma, dall'altra. Anche il proseguo di questo quarto libro non sarà da meno.





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