Lo yoga in Occidente tra Razzismo e Appropriazione Culturale

settembre 10, 2021




di Marco Sebastiani 

Razzismo non è solamente discriminare persone o gruppi per il colore della pelle o per la religione che professano, esiste un razzismo più subdolo e celato, che consiste nel ritenere una cultura intrinsecamente superiore ad un'altra. Se questa cultura, ritenuta inferiore, ha prodotto e produce manifestazioni di un patrimonio ragguardevole di conoscenze, queste vengono assorbite, cambiate e poste sotto una nuova luce, finalmente "scientifica", matura e accettabile, scevra delle ingenuità che i suoi processi non scientifici hanno generato. Grazie alla scienza, ultimo e perfetto strumento di analisi, si spiega quanto c'è di buono o di cattivo, di antico o di moderno, di vero o di falso.
Assistiamo purtroppo da diverso tempo a questo meccanismo nel mondo dello yoga. 

Le radici di ciò affondano nel colonialismo e nel neocolonialismo inglese. Procederemo con un grossolano schematismo, adatto ad un breve articolo, ma, spero, che il filo del discorso, che mi sta sinceramente a cuore, emerga chiaramente. Ai tempi del colonialismo strettamente inteso, lo sfruttamento senza scrupoli, il razzismo e le barbarie perpetrate erano molto evidenti. Tutta l'India era un'enorme macchina che produceva ad uso e consumo dell'impero britannico, che ne gode ancora dei frutti. Gli indiani erano considerati inferiori, prima per una questione prettamente razziale, non diversamente dall'ideologia successiva della Germania nazista, molti i trattati che li descrivono come un popolo dedito alle peggiori nefandezze, successivamente per una questione culturale. Venne teorizzata infatti, dai moderni ed illuminati scienziati, a fine Ottocento, la famosa teoria evoluzionistica, ad opera di James Frazer ed altri, secondo cui le culture umane andavano da forme più primitive fino ad un massimo sviluppo, rappresentato nemmeno a dirlo dalla società Britannica. Così la magia, ad esempio, rappresenta l'inizio di un complesso percorso che la vede evolversi prima nella religione e poi nella scienza, come strumento per comprendere la realtà. Purtroppo questo tipo di ragionamento trova ancor oggi implicitamente diffusione. Le atrocità messe in pratica dalla Compagnia delle Indie erano quindi giustificate dalla presunta emancipazione di questa popolazione arretrata. Il ragionamento era chiaro: gli Indiani rappresentavano una fase arretrata nello sviluppo culturale e gli Inglesi portavano la civiltà. Lentamente gli studiosi Occidentali iniziarono però a capire e studiare la ricchezza della millenaria cultura indiana, seppure, a loro giudizio, ancora influenzata dalla magia e dalla religione e, incredibilmente, iniziarono a spiegarla agli stessi indiani sotto la luce della presunta scienza moderna. La cosa triste è che ancora oggi la conoscenza e la disponibilità dei testi sanscriti per gli occidentali è piuttosto limitata, ma molte opere pubblicate in Inghilterra e non solo, mirano proprio a spiegare i fraintendimenti e gli errori nella tradizione indiana, secondo un meccanismo perverso. La base del processo è, come vedremo, il razzismo implicito di cui sopra unito inoltre all'appropriazione culturale, termine con cui intendiamo l'adozione e la globalizzazione di elementi di una cultura o identità minoritaria o economicamente subalterna da parte di membri di una cultura economicamente dominante. In modo molto triste alcune persone della cultura minoritaria si rendono alle volte corresponsabili di questa appropriazione, inconsapevolmente oppure in buona fede, ma spesso per guadagno personale.

Per lo yoga questa operazione è straordinariamente evidente sotto due filoni, uno che riguarda la pratica strettamente intesa e un altro relativo agli studi filosofici.

Iniziamo con il portare alcuni esempi episodici, ma peculiari di questo processo. Come sappiamo ad inizio Novecento si fecero strada con successo in Occidente diversi maestri buddisti e induisti di yoga. Tra le varie e infinite teorie che si diffusero, molta popolarità ebbe quella del corpo sottile, che, spiegandola in due parole, teorizzava la gestione dell'energia fisica e psichica attraverso una rete di canali e attraverso alcuni punti nodali dette ruote o chakra. La pratica di cui questa teoria costituiva la base, che poi altro non è che uno dei tipi di yoga, sembrava funzionare, le persone ne traevano giovamento. Dove inizia quindi il razzismo e l'appropriazione culturale: questo sistema di nadi e prana viene implicitamente considerato un'invenzione bambinesca fatta per giustificare un qualcosa che nell'esperienza però funziona, praticamente una teorizzazione a posteriori, sbagliata perchè magico-religiosa o forse una spiegazione che potrebbero dare dei bambini che non conoscono la scienza. Allora molti maestri e studiosi occidentali si interrogano sul perchè questa pratica funzioni, lo fanno finalmente con i mezzi della moderna scienza e scoprono che i chakra hanno una corrispondenza e una sovrapponibilità con il sistema endocrino, ghiandole ed organi, e quindi sovrappongono o sostituiscono l'apparato teorico tradizionalmente alla base dello yoga con questo nuovo costrutto medico-scientifico. Quanti di voi hanno sentito questi discorsi di correlazione tra ghiandola pineale, pituitaria, ovaie, gonadi e chakra? credo molti, non c'è qui bisogno di citare gli scadenti articoli del britannico Timothy Pope o degli altri.
Questo approccio rende innegabilmente il discorso più digeribile al pubblico occidentale. Quindi ricapitolando: ci si appropria di alcuni elementi, se ne sostituiscono altri in modo migliorativo, si globalizza e si rivende. Il gioco è fatto. Conveniamo però tutti che non sia più yoga, termine sanscrito che descrive un'altra cosa, con un apparato teorico, pratico e religioso o spirituale peculiare ed imprescindibile. Nel quale l'anatomia occidentale non ha uno spazio, se non quello di rendere più familiari  concetti che ci sono altimenti oscuri.

Un'altro caso emblematico riguarda la pratica dell'Ashtanga Yoga del maestro Jois. Verremo subito al punto: un nutrito gruppo di maestri occidentali ha iniziato a sollevare una serie di dubbi su questa pratica. Anche qui, gli effetti della pratica sono considerati positivi, ma il metodo sbagliato perchè ignora le teorie scientifiche. Secondo questi personaggi ciò è evidente nei continui infortuni dei praticanti, non è chiaro se i loro o dei loro allievi. I capofila di questo fronte sono Monica Gauci, una fisioterapista australiana a cui piace farsi chiamare dottoressa, Gregor Maehle, Guy Donahaye e altri (vedi articolo: Why I left Mysore comuniti di M.G.)  In particolare vengono rimproverate al sistema di Pattabhi Jois diverse mancanze, tra cui spiccano: l'assenza di insegnamenti specificatamente spirituali e la mancanza di conoscenza dell'anatomia da parte degli insegnanti, i quali sarebbero solamente dei buoni praticanti. Il procedimento è il medesimo illustrato in precedenza: si prende un sistema nato in India e portato avanti da un maestro indiano, che però viene screditato perchè incompleto, arretrato o "ingenuo". Il sistema ha bisogno di essere migliorato da chi conosce la scienza. Come si fa ad insegnare un'attività ginnica senza conoscere l'anatomia e la scienza del corpo moderne? Infine i nostri autori che quindi si prefiggono di insegnare un sistema migliore di quello del loro maestro,  vendono corsi per diventare insegnanti in giro per il mondo, continuando tralaltro a chiamarlo Ashtanga Vinyasa Yoga e continuando a scrivere sui loro siti di essere stati autorizzati all'insegnamento da Pattabhi Jois. Questo passaggio è fondamentale perchè l'attuale sistema dell'Ashtanga impone che la qualifica di maestro sia data unicamente in India a Mysore. Capiamo quindi che le critiche siano mosse per motivi di affari. Non è inoltre difficile capire che l'anatomia non c'entra nulla con lo yoga, che non è un sistema ginnico, ma si basa su presupposti completamente differenti, una rappresentazione integrata dello spirito e del corpo che ha le basi in millenni di trattati sanscriti. La cosa divertente è che questi insegnanti rimproverano anche al loro ex maestro di non aver insegnato loro la pratica spirituale e gli altri sette "rami dello yoga" oltre le posizioni. Glissiamo su questo aspetto, sono evidentemente molto confusi oltre che in cattiva fede.

Per finire citeremo come esempio uilteriore l'ultima critica, cronologicamente, mossa alla pratica all'interno dei sistemi di yoga tradizionali indiani. Il rapporto tra guru e shisha, tra mestro e allievo, sarebbe un rapporto malsano che sfocia inevitabilmente in abusi perchè al guru viene dato troppo potere e la subordinazione totale è un abominio, viola le libertà dell'uomo. Quindi, sarebbe auspicabile secondo molti abolire questa subordinazione e questo rapporto nello yoga. Il meccanismo è sempre lo stesso, si prende un sistema e se ne tolgono dei pezzi sulla base di una critica eurocentrica e fondamentalmente razzista perchè presuppone la superiorità degli strumenti di analisi. Non voglio entrare nel merito se per un occidentale o per un indiano il sistema guru-shisha sia il migliore possibile per la trasmissione della conoscenza o se questo sistema abbia portato ad abusi, presunti o reali; quello che qui importa è che in India è il sistema con il quale un certo tipo di sapere viene trasmesso da migliaia di anni, in passato in modo segreto, oggi meno, ma è questa la base dello yoga, la trasmissione all'interno di un lignaggio, ovvero una linea di discendenza continua, che viene fatta risalire migliaia di anni indietro, spesso fino a Shiva come primo maestro. Se questo non piace alle categorie occidentali, può essere fatto in qualsiasi modo si desideri, ma è irrispettoso chiamarlo insegnamento dello yoga. E' essenziale secondo me riconoscere alla cultura all'interno della quale lo yoga è nato l'autorità su questa arte, avere rispetto per gli usi e i costumi di questa cultura e sforzarsi di capire il diverso modo di esprimersi, i diversi modelli.

L'altro filone all'interno del quale vediamo chiaramente un processo che si fonda su razzismo e appropriazione culturale, è lo studio filosofico dei testi sanscriti. Non scenderemo eccessivamente in dettaglio, ma il meccanismo è simile a quanto già visto: noi Occidentali, che al contrario di voi Indiani possiamo avvalerci della scienza filosofica e della storiografia, vi spieghiamo il significato delle opere, discernendo quali sono le parti non tradizionali, aggiunte in tempi moderni. E' prassi post-datare le opere classiche indiane rispetto la datazione tradizionale, che, nella maggioranza dei casi le fa risalire alla notte dei tempi. Anche in questo caso c'è una mancanza di rispetto nei confronti della cultura di appartenenza di queste opere. La differenza nelle categorie utilizzate genera incomprensioni. Vero storico e vero mitico seguono strade differenti e inconciliabili, ma non per questo l'uno è superiore all'altro. Quando in un'opera si elenca la successione dei maestri di yoga per una certa scuola all'indietro nel tempo fino a Shiva, si sta fondando l'origine sacra di quell'arte, si sta conferendo significato, un significato religioso o spirituale alla pratica di oggi. Non si sta facendo uno studio storiografico dei maestri. Ha senso ricordare che si, forse, Shiva è stato un personaggio umano realmente vissuto oppure è un personaggio di fantasia? si cade nel ridicolo. Quando il maestro Krishnamacharya afferma di essersi recato per sette anni sulle montagne dell’Himalaya, terra nella quale sono rimasti gli antichi rishi delle epoche precedenti o i loro allievi, e di aver studiato con un maestro di cui cita il nome, ma che gli ha chiesto di rimanere segreto, che a sua volta aveva un altro maestro, eccetera, eccetera, ha senso passare alla lente d'ingrandimento questo  discorso, voler indagare sull'identità di questi maestri? Quando T.K. illustra le opere sanscrite classiche dalle quali proviene il suo insegnamento, che tra l'altro quasi nessun occidentale conosce integralmente, figurando ad esempio un'enciclopedia dell'ayurveda in venti volumi mai pubblicata e mai tradotta in occidente, ha senso scervellarsi se una tra queste sia andata distrutta, come da lui asserito o se il volume sia mai esistito? anche in questo caso bisogna avere rispetto per la persona e per la cultura di appartenenza, per il modo di esprimersi che le è proprio, a maggior ragione se si praticano gli insegnamenti del maestro T.K. e se si continua a chiamarlo vinyasa yoga come da lui insegnato. Il rapporto guru shisha avrà molti difetti, ma, nei testi arrivati sino a noi, si basa sul rispetto reciproco.

Razzismo e appropriazione culturale purtroppo non riguardano solamente lo yoga, nei confronti dell'India, ma sono sempre striscianti. Mille sono i casi in cui li possiamo osservare. Non più tardi di alcuni mesi fa un documentario della BBC sull'India affermava implicitamente che la povertà materiale in cui versa il continente fosse in parte dovuta alla fine del colonialismo e all'incapacità della nazione in cui le poche cose buone rimaste, ferrovie e opere pubbliche sono di matrice britannica. Non ci sembra di averlo già sentito? noi siamo più avanzati, loro sono come bambini. Premesso che non ha senso stabilire se il nazismo abbia fatto anche cose buone, non serve qui ricordare che il colonialismo inglese è la causa della povertà dell'India alla quale tra le altre cose, è stata estromessa una parte cospicua di territorio, sfruttando attentamente dissidi religiosi e costituendo un nuovo stato musulmano lungo la linea dei pozzi petroliferi ancora oggi di dominio della British Petroleum.

L'augurio è che, almeno nel mondo dello yoga, non si cada in queste trappole, ma ci si sforzi di portare il rispetto dovuto alla cultura all'interno della quale questa disciplina è nata. Eliminare il sanscrito dalla pratica, mischiare elementi provenienti da culture completamente diverse, cancellare le scritture tradizionali, sono tutte operazioni che a mio giudizio indicano uno scarso rispetto e uno scarso desiderio di comprensione, in ultima analisi operazioni di appropriazione culturale quando non finanche di razzismo.


  



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1 commenti

  1. Grazie mille. Un articolo che tutti dovrebbero leggere e che apre porte troppo spesso lasciate chiuse.

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