Attenti al guru: oltraggio alla memoria di Sri Pattabhi Jois

settembre 11, 2018



di Francesca d’Errico

Diamo il benvenuto nella redazione di Yoga Magazine Italia a Francesca d’Errico, esperta praticante di yoga, che ha attirato la nostra attenzione per le sue posizioni equilibrate in merito all'attuale revival dell'antico scandalo intorno all'ashtanga yoga. L'ashtanga yoga sta crescendo molto come numero di praticanti, diventando un business sempre più internazionale, ma, in questo momento, con l'approdo in Cina, si sono aperte prospettive fino a ieri inimmaginabili. Al contempo, qualcuno sta mettendo in dubbio la centralità della famiglia Jois e della scuola di Mysore da loro condotta, il Shri K Pattabhi Jois Ashtanga Yoga Institute, in tutto questo, ad esempio nel dispensare la più prestigiosa autorizzazione ad insegnare Ashtanga. Ma vediamo in dettaglio cosa sta succedendo lasciando la parola all'autrice dell'articolo.

Negli ultimi mesi la comunità dell’Ashtanga Yoga è scossa sui social media dall’apparizione di numerosi post, articoli, video, interviste, autografati da insegnanti e praticanti più o meno noti, che accusano il fondatore del metodo, Sri K. Pattabhi Jois, di abusi sessuali su alcune studentesse durante le sue classi. A chi fosse estraneo alla vicenda e non conoscesse a fondo l'Ashtanga, ricordo che Sri K. Pattabhi Jois è morto da anni, nove per la precisione. Ricordo inoltre che le donne che lo accusano di aver subito “palpeggiamenti inappropriati”, di questo si tratta, hanno ricevuto le suddette molestie decenni fa, e dopo questi episodi sono ritornate più volte a praticare sotto la sua guida, alcune per oltre dieci anni. I fatti sono ben descritti, anche se in senso univoco, con la sola voce delle vittime e nessun commento da parte della famiglia Jois, negli articoli di Matthew Remski, che per primo ha riportato le dichiarazioni di Karen Rain, ex praticante di Ashtanga, presente nei primi video tutorials girati da Pattabhi Jois. Remski stesso è noto per la sua avversione al metodo dell’Ashtanga Yoga, pur non avendolo mai praticato. Queste premesse si rendono necessarie perché desidero che il mio articolo non sia interpretato come una difesa nei confronti di Sri K. Pattabhi Jois, “Guruji”, e giammai un’accusa nei confronti di presunte vittime, ma sia letto in senso più ampio, come un'interpretazione obiettiva dei fatti e del difficile rapporto tra maestro e discepolo, tipico della cultura indiana e, in generale, delle culture orientali.



Ad oggi sono 9 le donne che hanno dichiarato di aver subito “aggiustamenti inappropriati” da Guruji. Questi aggiustamenti sono di pubblico dominio, poiché il maestro Jois permetteva che le sue lezioni fossero filmate pubblicamente. Ciò mi lascia perplessa sulle sue eventuali intenzioni subdole: perché mai avrebbe permesso di girare un video, se avesse avuto intenzione o consapevolezza di perpetrare un abuso? Molte delle “vittime” hanno continuato negli anni successivi a frequentare la scuola e i seminari all’estero diretti da Guruji, e non hanno mai espresso il loro dissenso se non 8 anni dopo la morte del maestro, in un momento di grande fermento per la Scuola, diretta oggi dal nipote di Pattabhi Jois, Sharath Rangaswami Jois, a distanza di pochi mesi dalla revisione della lista ufficiale degli insegnanti autorizzati dalla sua organizzazione.
Ho personalmente espresso la mia opinione più volte su Facebook. Sono rimasta scioccata nell’assistere alla cancellazione dei miei commenti, nonostante in molti fossero d'accordo, semplicemente perché non in linea con l’opinione più diffusa, che vuole Guruji colpevole a tutti i costi, e possibilmente inserito nella lista nera dei Guru negativi, come ad esempio il maestro Bikram.
Ho deciso quindi di esprimere su queste pagine il mio pensiero, sperando di sollecitare qualche riflessione.
Noi occidentali spesso andiamo in cerca di spiritualità in luoghi esotici e presso culture lontane e molto diverse dalla nostra. Delusi dai nostri credo e dalle nostre tradizioni religiose, cerchiamo disperatamente un Maestro, un Guru se siamo in India, che ci dica esattamente cosa fare per diventare “illuminati” e ottenere risposta a tutte le nostre domande esistenziali. Con questi presupposti siamo facili prede di falsi messia e sono noti appunto i casi di Osho, oggi in parte riabilitato, di Bikram, e molti altri.
Passano gli anni, decenni a volte, e improvvisamente ci rendiamo conto che, anche se ci siamo svegliati tutte le mattine alle sei praticando fedelmente quanto ci è stato insegnato, le risposte ai quesiti dello spirito non sono arrivate. Ecco che quello stesso uomo, sì, perché un maestro è sempre un essere umano, con i suoi umani difetti e la sua vulnerabilità alle lusinghe del potere, l’uomo che fino al giorno prima avevamo quasi santificato, a cui avevamo dedicato libri e preghiere,  ci appare come una persona molto, molto cattiva. Ora che ricordiamo bene, ci ha addirittura toccato qualche parte intima mentre ci sistemava in una posizione un po’ contorta.
Il Guru cade dal piedistallo, anzi siamo noi, che ce lo avevamo messo, a buttarlo giù.
Personalmente mi sono sempre avvicinata alla figura dei Guru con uno spirito critico molto vivace. Li ho sempre considerati in primo luogo uomini, persone che sanno, probabilmente, qualcosa che io ancora non so. Non ho mai cercato un Messia. Credo che la spiritualità sia qualcosa che dobbiamo risolvere dentro di noi. Una persona può mostrarci una porta, ma sta a noi decidere se aprirla o no, e siamo noi responsabili di ciò che troviamo dall’altra parte. Togliere a noi stessi questa responsabilità significa auto-privarci del valore più grande di ogni essere umano: il libero arbitrio e, in senso più lato, la libertà. Parola molto bella che però comporta un impegno che non tutti vogliamo affrontare: la responsabilità nei confronti di noi stessi.

Negli ultimi tempi poi, è apparsa una nuova moda: saltare sul treno del movimento #metoo.
L’hashtag #metoo vende molto bene: è il treno giusto su cui salire se vogliamo vendere ritiri, intensivi e corsi per insegnanti, soprattutto a neofiti che non sono mai stati a Mysore, che non hanno mai incontrato Guruji o la sua famiglia, e che, ancora una volta, stanno cercando qualcuno che si faccia carico delle loro domande e delle conseguenti risposte. Sono persone che spesso stanno passando un momento difficile, stato d’animo che accomuna chi affronta questioni esistenziali e spirituali. Vorrei dire a questi studenti di farsi qualche domanda e chiedersi come mai questi maestri, che fino a ieri vendevano i loro corsi osannando Sri K. Pattabhi Jois, oggi vogliano continuare a venderli dicendone peste e corna. A me farebbero sorgere qualche dubbio.

Non posso esprimermi su ciò che è accaduto nella vecchia Shala di Guruji a Mysore, trent’anni fa. Non ero presente. Mi dispiace che esistano delle vittime, se tali sono, e che stiano soffrendo per ciò che hanno subito o pensano di aver subito. Posso però esprimere qualche dubbio e dire che, secondo me, Guruji non era in condizioni di “ipnotizzare” un occidentale, poiché parlava un inglese a dir poco stentato; e spesso il gesto e l’aggiustamento erano gli unici modi che aveva per spiegare ciò che voleva dire ad un praticante straniero. Posso dire che il KPJAYI non è mai stato un Ashram, ma è una semplice shala, da cui ogni studente esce al termine della pratica, per trascorrere altrove il resto della sua giornata. Gli episodi di abuso riferiti sarebbero stati tutti perpretati all'interno della shala e con molti testimoni.
Infine, cosa più importante, posso dire che Sri K. Pattabhi Jois non è la pratica dell’Ashtanga Yoga. Una disciplina non può essere identificata con una persona. La pratica dell’Ashtanga Yoga è stata sviluppata da T. Krishnamacharya e da Sri K. Pattabhi Jois, insieme a tutti gli insegnanti di calibro che nel tempo hanno lavorato con loro; oggi è portata avanti a Mysore da Sharath Rangaswami Jois e Saraswathi Jois, insieme a molti altri eccellenti maestri che nel mondo contribuiscono all’evoluzione di questo strumento, che produce eccezionali effetti sul nostro corpo e sulla nostra mente. Anche questi maestri, però, non possono essere identificati con il metodo.
Non possiamo tuttavia prescindere da Pattabhi Jois se insegniamo o pratichiamo Ashtanga. Non possiamo cancellarlo.
Lasciate che vi racconti un aneddoto: anche BKS Iyengar, a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, appare in un video mentre colpisce in testa una studentessa occidentale per non aver eseguito correttamente un'asana. Ho conosciuto personalmente allievi di Iyengar che lo ricordano come un uomo a dir poco burbero e dal tocco non certo delicato. Sono certa che a breve sarà anche lui accusato di maltrattamenti.
Personalmente non approvo metodi brutali, né tantomeno aggiustamenti violenti che moltissimi maestri, incluso Guruji, hanno applicato per decenni. Non fanno bene fisicamente, sono al limite del consentito, appartengono a un’era morta e sepolta, caratterizzata da limitate conoscenze di anatomia. Mi chiedo però: se l’Ashtanga Yoga oggi vi sembra un metodo orribile, se siete convinti che Guruji fosse in tutto e per tutto una brutta persona, non sarebbe meglio dissociare la vostra scuola dal suo nome e dal metodo? E non sarebbe meglio, prima di puntare il dito contro Guruji schierandosi a favore di chi lo accusa, spiegare come mai non avete parlato prima, come mai avete dedicato altari e libri a un uomo che, in realtà, non stimavate affatto? Certo mi si ribatterà che le dinamiche Guru/discepolo sono difficili da abbattere. Tuttavia nel caso specifico di Guruji non mi sembrano applicabili. Non siamo qui in presenza di un Bikram, che ha sedotto numerose studentesse, ne ha violentate alcune, ed ha costruito un impero finanziario frodando diversi governi. Pattabhi Jois non ha mai commercializzato un brand, anzi, ha lasciato che il nome Ashtanga Vinyasa restasse libero dalle limitazioni di un marchio registrato. Ha sicuramente guadagnato per il suo operato, ma ancora oggi un mese di lezioni a Mysore costa come un weekend di un qualsiasi corso intensivo, con un insegnante molto instagrammato.

Lo Yoga è certamente una pratica spirituale. Non sono la prima a notare che, ultimamente, questo aspetto stia svanendo dalle lezioni dei sempre più numerosi centri Yoga. Propongo di provare a praticarlo sul serio. Per cominciare è sufficiente avere una mente aperta, praticare un po’ di sano distacco, avviare discussioni pacifiche sulle nostre pagine facebook, rispettando le opinioni di tutti. Queste righe sono la traduzione e l’espansione di un mio post apparso su Facebook alcuni giorni fa; un post che ho pubblicato in seguito alla cancellazione di un mio commento sulla pagina di un noto insegnante un tempo certificato dal KPJAYI. L’insegnante in questione dichiara sul suo profilo di insegnare Ashtanga Yoga secondo il metodo da lui appreso proprio da Sri K. Pattabhi Jois, e sotto questa egida presenta i suoi corsi per insegnanti, attività che la scuola ufficiale fondata dal maestro non approva, e che ha comportato, insieme ad altri motivi, la sua esclusione dalla lista di insegnanti autorizzati.
Tuttavia ultimamente questo insegnante, e molti altri anche più famosi di lui, si sono sentiti in dovere di pubblicare post e articoli apologetici nei confronti delle donne che hanno dichiarato di aver subito abusi, a nome di tutte la comunità. Come potrete immaginare, ho trovato assai poco “yogico” che il mio commento, del tutto pacifico e gentile, e che stava raccogliendo parecchi consensi, venisse cancellato ex abrupto e senza nemmeno una parola di preavviso, da un insegnante che fino a ieri stimavo molto e di cui avevo tradotto sul mio blog, a titolo gratuito, numerosi articoli.

Okay, ora che ho parlato sono pronta a sentire le vostre opinioni in merito!

Francesca d’Errico


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