Mito e Yoga, Kurmasana, la posizione della tartaruga

aprile 03, 2018



di Marco Sebastiani

La posizione della tartaruga, in entrambe le sue varianti, kurmasana e supta kurmasana, è una asana molto conosciuta, seppure considerata di livello avanzato. L'origine del mito ad essa collegata fa riferimento ad una delle storie più famose della mitologia indù, la samudra manthana, ovvero l'emulsione dell'oceano, raccontata nella  Bhagavata Purana. L'esecuzione di questa posizione, oltre a rimandare ad un bellissimo mito, chiama in causa una serie di caratteristiche spirituali e mistiche collegate con la storia e le sensazioni che ingenera nello yogin. Kurmasana è inoltre collegata direttamente con uno degli otto passi dell'ashtanga yoga descritto da Patanjali nei suoi sutra (vedi articoli collegati). Andiamo quindi a ripercorrere l'apparizione di Kurma, avatar di Visnù.

La leggenda narra che un giorno Indra, Deva del fulmine, mentre cavalcava l'elefante Airavata, incontrò il saggio Durvasa, famoso per il suo temperamento irrascibile, che gli offrì una ghirlanda speciale donatagli personalmente da Shiva. Indra accettò il dono e lo mise sul corpo dell'elefante come prova, per dimostrare che aveva il proprio ego sotto controllo. L'elefante, sapendo che Indra, al contrario, aveva problemi con il controllo del proprio ego, gettò la ghirlanda sul terreno. Ciò fece infuriare il saggio Durvasa poiché la ghirlanda era una dimora di Sri (la fortuna) e doveva essere trattata come un prasada ovvero con i riguardi di un'offerta religiosa. Durvasa maledisse Indra e tutti i Deva, privandoli di ogni forza, energia e fortuna.

Nelle battaglie successive all'incidente, i Deva furono sconfitti e gli Asura, i demoni guidati da Bali, acquisirono il controllo dell'universo. I Deva cercarono l'aiuto di Visnù, che consigliò loro di trattare con gli Asura ricorrendo alla diplomazia. I Deva formarono un'inedita alleanza con gli Asura per riunire insieme l'oceano e ricavarne il nettare dell'immortalità, amrita, accordandosi che lo avrebbero condiviso tra tutti loro nell'interesse collettivo. Non è chiarissimo il fine con cui Visnù architettò questo stratagemma e, secondo alcune versioni, già aveva previsto in ultima analisi di imbrogliare gli Asura, senza però per questo intaccare la sua moralità, secondo altre i fatti si susseguirono senza malizia da parte del Dio.

Il processo per ottenere l'amrita magica dall'oceano era piuttosto complicato, è noto come emulsione dell'oceano o zagolatura, ovvero il processo con cui si estrae il burro dal latte. La procedura prevedeva che il monte Mandara fosse utilizzato come zangola, e Vasuki, il re dei serpenti che dimora sul collo di Shiva, fosse utilizzato come corda. Gli Asura tenevano la testa del serpente, mentre i Deva, ascoltando i consigli da Vishnu, accettarono di tenere la coda. Di conseguenza, gli Asura furono avvelenati dai fumi emessi da Vasuki. Nonostante ciò, i Deva e gli Asura si muovevano alternativamente tirando il corpo del serpente e facendo ruotare la montagna, che a sua volta agitava l'oceano. Quando la montagna fu posizionata sull'oceano, iniziò però a sprofondare. Ma ecco che Vishnu, nella forma del suo avatar, la  tartaruga Kurma, venne in loro soccorso e sostenne la montagna sul suo guscio, salvando la situazione.

fig 2. Visnù nella sua incarnazione di tartaruga


Il processo di emulsione dell'oceano generò molte cose. La prima fu il veleno letale noto come Halahala, che in alcune versioni della storia, fuggì dalla bocca del re serpente mentre i demoni e gli dei lo agitavano. Questo terrorizzò tutti perché il veleno era così potente da poter distruggere tutto il creato. Quindi gli dei si avvicinarono a Shiva per proteggersi. Shiva allora, per  proteggere l'universo, e la sua consorte, Parvati, bevve tutto il veleno e da allora la sua gola e la sua lingua diventarono blu.  

La zangolatura produsse altri oggetti celesti, come gioielli preziosi, ninfe e una mucca divina. Ad un certo punto uscì dall'oceano persino Lakshmi, la dea della fortuna e consorte di Vishnu. Alla fine Dhanvantari, il dottore degli esseri celesti, apparve con il vaso del nettare dell'immortalità. I demoni dimenticarono la loro tregua con gli esseri celesti e strapparono via il vaso. Poi Visnù arrivò sulla scena travestito da una bellissima donna che incantò sia i demoni che gli esseri celesti. Disse che avrebbe distribuito il nettare in modo uniforme tra loro. Inebriati dalla sua bellezza, i demoni e gli esseri celesti si accordarono prontamente. Visnù li fece sedere in due file, ma quando ebbe finito di nutrire i Deva, la pentola del nettare era vuota. Gli esseri celesti si ripresero quindi dopo molte peripezie il controllo dell'universo.

Fig 3. Kurmasana


E' molto comune nei testi  il paragone tra la pratica yoga ed il processo di emulsione dell'oceano compiuto nel mito, la sublimazione, la concentrazione di qualcosa per generarne la trasformazione in qualcos'altro di maggiore valore, come il burro dal latte. L'analogia che più spesso viene fatta è che il percorso dello yogi è quello di muovere il corpo come la zagola, con la corda della mente, attraverso la pratica per raggiungere uno stato di libertà e gioia. Durante il processo di purificazione, molti veleni o detriti possono affiorare prima che ci sia il nettare. Questo è il motivo per cui si rende necessario il sostegno di un guru che, proprio come la tartaruga Kurma, sostenga la montagna. 
Kurmasana rappresenta proprio la tartaruga, avatar di Visnù, con cui il Dio fece da sostegno  al monte Mandara.

Kurmasana ha anche una variante molto comune detta supta kurmasana, la tartaruga sdraiata o addormentata. Nella prima serie dell'ashtanga yoga del maestro Jois queste due posizioni, non a caso, sono eseguite consecutivamente. I piedi vengono incrociati dietro, o davanti, la testa e le mani si afferrano dietro la schiena. Questo movimento rappresenta la tartaruga quando ritrare all'interno del guscio zampe e testa.

 Fig.4 Supta Kurmasana

La tartaruga è infatti comunemente anche il simbolo di un'altra importante pratica yogica. Una tartaruga che ritira le zampe e la testa dentro il suo guscio è una grande metafora del quinto gradino del percorso degli otto rami descritto da Patanjali, chiamato pratyahara. È lo stadio in cui ritiriamo i nostri sensi dal mondo fenomenico. Non si tratta banalmente di "spegnere" i sensi, come spesso si interpreta, ma di utilizzarli non più verso il mondo circostante, ma verso il proprio mondo interiore per percepire le sensazioni e i doni di cui lo yoga costituisce la ricerca. 


Questa connessione tra la tartaruga e la pratica è esplicita nei sutra:


YSIII:32. kurma nadyam sthairyam
Incentrando la pratica sull'energia che scorre nella colonna vertebrale, lo yogin realizza l'assoluta stabilità.


la traduzione proposta nella nostra versione del terzo libro di Patanjali cerca di restituirne il senso ed è un po' parafrasata, letteralmente dice: kurma nadi (la linea di energia della tartaruga) sthairyam (stabilità).


In un verso ben noto della Bhagavad Gita, Arjuna si lamenta con Krishna (il suo guidatore di carro) che la mente sembra più difficile da controllare del vento, ma Krishna lo assicura che attraverso una pratica continua, è possibile trovare il modo. Kurmasana rappresenta la stabilità e la stabilità su cui costruiamo la nostra pratica yoga, che diventa la stabilità del nostro mondo interiore, è tra le posizioni che maggiormente riescono a portare introspezione e calma.




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